Losey rischia grosso col remake del capolavoro di Lang ma dimostra di aver le spalle larghe (di lì a poco entrerà nella blacklist maccartista) oltreché una già personalissima idea di cinema. Il film infatti, pur pedinando la trama dell'originale, la cala dentro una metropoli gangsteristica (e pseudomoralista) nell'America anni '50, in cui poliziotti e criminalità organizzata si coalizzano contro un loser allucinato ma fragilissimo (sorprendente Wayne), sfruttando la parossistica paura della gente comune. Grande b/n di Laszlo, un po' d'affettazione nel finale.
MEMORABILE: Nella camera dell'assassino la foto della madre e i lacci delle scarpe con cui strozza le vittime; Il flauto al posto del fischio; L'avvocato ubriacone.
Losey realizza il remake del capolavoro di Lang e il risultato può dirsi riuscito, pur se inferiore all'originale. L'azione viene spostata dalla Germania agli USA contemporanei (all'epoca) e può vantare buone prove attoriali, con un Wayne convincente nel ruolo del "mostro". La storia rimane pressoché identica a quella del 1931, con ben poche variazioni; anche alcune soluzioni "visive" riprendono direttamente quanto già visto nel film originale (basti pensare al pallone che rotola solitario e al palloncino che sale nell'aria).
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Nell'atrio del cinema, dove un papà viene aggredito perché sospettato di essere il "mostro", sono presenti i manifesti del film Scarpette rosse (1948):
Il film di Losey è presente (in inglese con sottotitoli in italiano) sul secondo disco dell'edizione a 2 dvd contenente anche "M il mostro di Dusseldorf" di Lang