Credo sia una delle poche volte (o, almeno, a distanza di anni), che un film non mi sconvolgeva emotivamente, tanto da non riuscire (a film concluso) a formulare un commento "rapido", tanto ero invaso (e travolto) da una tempesta di emozioni quasi da "tremarella", come se un treno merci mi fosse venuto addosso tra capo e collo, inaspettatamente.
La stessa sensazione che, da ragazzino, mi pervase alla fine della visione di
Soldato Blu, in quello che è un cinema puramente viscerale, che prende lo stomaco e te lo sconquassa senza tanti preamboli, ti sbatte in faccia la più cruda, brutale e realistica violenza (a volte davvero insostenibile, altro che i filmetti estremi da bancarella tanto strombazzi, e alla fine, innocui e indolore) e ti costringe a fare i conti con essa (e con il lato più ferino e sadico dell'essere umano, al pari, se non peggio, di una belva assetata di sangue solo per il gusto di uccidere, stuprare e annientare tutto quello che trova sul suo cammino).
E che uno dei film più sconvolgenti e selvaggi degli ultimi anni sia diretto da una donna (non ho ancora visto
Babadook, ma se tanto mi da tanto, credo sia una delle più grandi autrici viventi, che nulla lascia al caso, dagli sgradevoli grugni, alle location, al comparto sonoro, al fango, al sangue, alla puzza, alla sporcizia, fino agli incubi horror lynchiani) la dice lunga sull'ottica femminile del cinema della violenza della regista del piccolo "uomo nero".
Stupri, infanticidi (almeno quello dell'inizio difficile da sopportare e una mazzata sui denti che fa un male cane), massacri a freddo, agguati alla
Ultimo mondo cannibale, facce spaccate con il calcio del fucile, belluine pugnalate di un realismo che ha dell'impressionante, aborigene stuprate a turno e prese a pugni, aborigeni impiccati agli alberi come i cadaveri in decomposizione e
L'amore e il sangue, coppie di sposi fatte a pezzi nel loro giacilio con tanto di mosche e sangue rappreso sulle pareti, ragazzini freddati di botto, stati onirici surreali (il balletto), visioni incubotiche di morte che sfociano nell'horror puro (il soldato ritornante e sfigurato, la danza macabra), i seni che fanno male per via dello stato dell'allattamento e lo stesso latte che macchia i vestiti, la misoginia che sfiora picchi di crudeltà oltre il disturbante (quì si che gli uomini sono bestie a parte, il tenente, il sergente, veri e propri mostri in uniforme, che tutto distruggono e disprezzano con ghigno di villipendio che fa scatenare gli istinti vendicativi più bassi- e quando la vendetta si compie, l'emotività non si frena, tirando fuori nello spettatore il lato più recondito dell'occhio per occhio dente per dente, proprio come nel finale di
Dogville-e non è un caso che la Kent fece da assistente alla regia a Lars von Trier sul quel set-), fino alla nemesi del guerriero aborigeno che si pitta di guerra (dove la Kent, da grande autrice quale è) mischia il cinema cosidetto "alto" (riverberi da
L'inizio del cammino e
The Tracker-La guida, un pò di John Boorman, un pò di Werner Herzog) a quello puramente exploitation (da
Schiave bianche, per passare da
Cannibal Holocaust, fino a
Addio zio Tom) e nel mezzo sanguisughe, razzismo, schiavismo, stragi di pecore, cascine date alle fiamme, ragazze aborigene rapite e violate brutalmente dal "diavolo bianco", la rabbia furiosa della vendetta femminea, fiumi in pena da attraversare, la solidarietà dei più deboli e dei più indifesi (lei irlandese spedita nella colonia penale della Tasmania, ovvero l'inferno sulla terra dominato con ferocia dagli inglesi, lui un aborigeno a cui hanno sterminato metà della sua gente) che diventa forza trainante di un amicizia che va oltre, fino a quella bellissima e commovente chiusa sulla spiaggia che è pura poesia visiva.
Rape & revenge sui generis, e forse tra i più vividi e spietati mai girati, o almeno negli ultimi anni (altro che quella baracconata di
Revenge, dove
L'usignolo ne rappresenta l'antitesi di incredibile durezza realistica), western aussie, adventure movie, critica sociale sulle minoranze e atto d'accusa sulle discriminazioni, dove la Kent riporta il cinema al suo stato brado e puramente ferino, spogliandolo di finti orpelli e perbenismo pulitino, sporcandosi le mani con un gran pelo sullo stomaco, prendendo la violenza e la brutalità così come sono per schiaffartele addosso senza nessun compromesso e il dolore è quasi lancinante.
136 minuti di rara intensità, di crudeltà e di misto di emozioni che secernono adrenalina pura, tra la bellezza delle immagini che invade la vista, il sadismo che picchia durissimo e il coinvolgimento che travolge e sconvolge.
Inutile sottolineare la grandezza del cast tecnico (cosa non sono la OST dalle sonorità tribali e la fotografia, nonchè gli sfx splatter negli scoppi improvvisi di furia assassina), di quello artistico (a parte l'intensità recitativa della Franciosi, ho odiato con tutta l'anima sia il tenente di Clafin sia il sergente di Herriman, con quella faccia da bastardo lì poi...ripugnanti e schifosissimi carnefici in divisa della Regina britannica. E pare che i due attori, soprattutto Clafin, abbiano avuto non poche difficoltà ad affrontare certe sequenze di estrema brutalità, accompagnando le riprese con l'ausilio di psichiatri sul set, voluti espressamente dalla Kent) e della stessa Kent (che l'iddio del cinema la benedica questa guerriera che non ha paura di nulla).
Schizza , in un sol colpo, tra le ipotetiche palme d'oro personali di questo 2021. Candidatura tra le più calde e sanguigne di quest'anno. A un passo dal VERO capolavoro.
In chiusura una postilla. Vergognoso che un film di tale portata sia tutt'ora inedito nel nostro paese (con tutte le corbellerie che escono ultimamente) e questo la dice lunga sul nostro attuale (e desolante) panorama dell'home video.
Io mi sono arrangiato con il blu ray francese della
Condor (uncut, con le bande nere ai lati, formato 1:33.1 voluto dalla regista stessa, per rendere ancora più ostico e opprimente il campo visivo ). Curiosamente (il film è praticamente tutto dialogato) alla fine non riuscivano ad aiutarmi nemmeno i sub francesi, ma era talmente la forza emotiva e la partecipazione spettatoriale, che, alla fine, sembrava che comprendessi tutto anche solo con l'inglese (ero talmente addentrato in quella giungla infernale della Tasmania, che le parole mi risuonavano come se le capissi) Un'esperienza totalizzante che solo i grandi film (e i grandi registi) ti sanno donare.
Mentre butto giù queste impressioni personali, ancora sento l'odore acre del sangue e di quella natura inospitale conradiana, spettatrice di morte e distruzione, rivalsa e rinascita.
Grazie di tutto Jennifer, per questo tuo dolente e coraggioso inizio del cammino.