Visto anni fa su Sky,
Poco più di un anno fa (gioco di parole inevitabile) lo avevo apprezzato per la sua carica eversiva e per quella fiammata nuova che dava all'asfittico panorama del cinema italiano cosidetto "esistenzialista".
Insomma, il "viscontiano" Marco Filiberti aveva i numeri (pur non avendo ancora visto
Il compleanno) per essere uno dei nuovi autori "out" del nostro cinema
Mi sono approciato a
Cain (dopo averne un pò letto in giro) con parecchia diffidenza (il sottoscritto detesta profondamente il teatro che passa al cinema-eccettuato il
Salomè di Bene- e i dialoghi pseudo shakespeariani-eccettuato il
Macbeth polanskiano-), quindi con le peggio aspettative.
Aspettative che si sono rivelate ben peggiori di quello che immaginavo (puro teatro filmato, insopportabili conversazioni che paiono scritte dal bardo-quì e Byron, ma la mia ingnoranza in materia non distingue uno dall'altro, a me stì dialoghi teatrali mi sembrano tutti uguali e parecchio dannosi) in un gioco masturbatorio intellettualoide/artistico che appassiona solo il suo regista e (forse) gli attori che ci lavorano
Una messa in scena che viaggia su due binari (le prove teatrali e le crisi attoriali che manco
Dopo la prova da una parte, un non luogo onirico e limbo sospeso dove Caino uccide Abele e si divora dai sensi di colpa, un ade che sprofonda, poi, nell'inferno, ma che mi è parso solamente una sottospecie di greenawayata fatta con i soldi dei cestini-un pò di balle di fieno, un albero della vita e una piscina- dall'altra) in mezzo gelosie, rancori, omosessualità nemmeno troppo velata, ciance sull'arte e sul ruolo dell'attore, prove di copione, amori rubati fugacemente, sensi di colpa che sfociano nella pazzia e una quantità industriale di fumogeni che manco in un film della Hammer.
Filiberti ha un certo gusto figurativo innegabile (notevole la fotografia cromatico/argentiana di Mauro Toscani nel "mondo" onirico) e uno stile personale anche apprezzabile (almeno per quanto concerne la sua passione per quello che-malauguratamente-racconta) e risalta la location della campagna toscana.
Ma tra sequenze documentaristiche del kaos che regna (che nemmeno Godard), cavalli bianchi, alberi che sanguinano, pantomime teatrali, anime che sbucano dalle acque nello stile degli zombi nazi dell'
Occhio nel triangolo, seduzioni omoerotiche, sapide battute sui preti e i chierichetti (dove ho avuto l'unico sussulto divertito tra i fumi del sonno a cui quest'opera invita), visioni macbethiane di morte e ossessione, dame velate e tristi mietitori, l'inedia vince su tutto, affogando nella noia e nelle mie resistenze fisiche che cominciavano a lasciare il passo (75 minuti mi sembravano 130) vacillando tra la narcolessia e l'insofferenza, raggiungendo le vette dell'inguardabile .
Filiberti realizza qualcosa di diverso rispetto ai canoni prestabiliti, ma , mea culpa, e proprio questo genere di film che non reggo (quindi è piu una cosa personale che va al di là dei meri meriti artistici del film) di cui non sento nessun tipo di empatia (ammetto, dall'alto della mia capritudine, di non capirci una mazza di teatro e autori teatrali, quindi non ho colto una fava di quello che Filiberti narrava, e mi sono sentito completamente tagliato fuori da ogni tipo di emotività-il problema era solo resistere all'implacabile narcolessia che mi attanagliava durante la-sofferta-visione)
Byron, per me, è solamente il personaggio russelliano di
Gothic (e ho detto tutto)
Potrà essere apprezzato da chi ama il teatro e i suoi autori (che non c'è voce nel vocabolario del sottoscritto), tutti gli altri si astengano fermamente
Per quanto mi riguarda, e cinematograficamente parlando, un'agonia spalmata in un ora e un quarto, peggio della cura Ludovico o della corazzata potiomkin di fantozziana memoria.
Prodotto da
Le vie del teatro in terra di Siena, organizzazione culturale fondata nel 2013 dallo stesso Filiberti.