La donna del traghetto - Film (1986)

La donna del traghetto

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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Se il titolo guarda alla figura di Viola (Savoy), l'attenzione del regista si sposta invece su Giolì (Haber), burattinaio cui è appena morta la madre. Attraverso accenti e paesaggi l'ambientazione richiama le campagne padane (poco importa se poi in realtà siamo nella riserva Tevere-Farfa a Nazzano, in provincia di Roma) ed è qui che viene immersa la storia, tra il verde intorno al fiume dove Viola fa la spola da riva a riva col suo traghetto “a manovella”. Silenziosa lei, assorto e costantemente sovrappensiero lui, che col suo teatrino si sposta in Apecar di paese in paese per divertire i più piccoli: una tradizione di famiglia che Giolì non vuole abbandonare, nonostante i magri guadagni e...Leggi tutto una vita ai margini. Quando incontra Tommaso (Fabrini), un ragazzino affascinato dal suo mondo e entusiasta d'imparare l'arte, pare rinascere, ma sarà un fuoco di paglia. Anche Viola ha comunque i suoi problemi, a cominciare da un fratello invadente (Rossi) che vuol vendere la casa o almeno ampliare il giro d'affari per il traghetto costruendo gazebo e ristori. E' insomma l'incontro di due anime sole, che si conoscono ma non riescono a oltrepassare la barriera che le separa; sognano senza saper bene cosa sognare, si lasciano trasportare dalla corrente, disadattati emozionali che non sanno con chi condividere sentimenti puri, schiavi di un'ingenuità che li imprigiona in un mondo a loro estraneo, che li respinge. Condotto da Amedeo Fago con toni fabieschi, il film si crogiola nei suoi lunghi silenzi compiacendosi della natura incontaminata riflessa nelle acque apparentemente immote del fiume, dona placidità con l'atmosfera, si fa accompagnare da una colonna sonora (di Franco Piersanti) rivestita inevitabilmente di vitale importanza: flauti e suoni delicati acuiscono la sensazione di un racconto sospeso nel tempo, solo saltuariamente riportato alla prosaicità dalle sortite di un Paolo Rossi businessman milanese al quasi-esordio (pronto al ruolo che gli affibieranno i Vanzina di lì a qualche mese) e da quelle di Giolì nelle strade in cui monta il suo teatrino. A Philippe Leroy, nel ruolo del padre di Viola, il compito di aprire una finestra sul passato dei genitori di Giolì e di confortare la figlia. Lodevoli le intenzioni di Fago (che parte da uno spunto di Haber stesso sviluppandolo assieme a Stefano Rulli e Lia Francesca Morandini), sentita e commovente l'interpretazione del protagonista (il quale spesso più che parlare sussurra), ma le pause non richieste si sprecano e nell'insieme ci si scontra con una prevedibilità eccessiva nelle azioni e nei comportamenti che rischia di sconfinare nel banale, anche se poi s'affacciano qua e là scene che sembrano dimostrare invece l'esatto contrario. Dolce, a tratti poetico, offre un finale in linea con certi happy ending favolistici, chiara conferma della direzione scelta. Un cinema d'autore a tratti ispirato, quasi avatiano per la delicatezza del tocco e favorito dalla scelta di location inconsuete, ma in definitiva piuttosto inconcludente.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 22/06/18 DAL DAVINOTTI
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Panza 20/11/23 21:50 - 1834 commenti

I gusti di Panza

La particolare recitazione di Haber ben si attaglia al personaggio che interpreta, di cui però non sembra si siano colte tutte le potenzialità, che sembrano apparire nella prima parte, ripiegando su una quantità eccessiva di pause e silenzi che non riescono a fare atmosfera. Tutta la scena del corteo funebre e del primo viaggio sulla chiatta sembrava promettere meglio. A Paolo Rossi toccano le sequenze più banali dell'imprenditore che tenta di comprare la casupola della traghettatrice. Non male qualche ripresa panoramica dei paesaggi tiberini, spacciati per luoghi padani.

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