120 battiti al minuto - Film (2017)

Nei primi anni 90, gli attivisti del collettivo Act Up-Paris compiono azioni dimostrative in difesa dei diritti dei malati di AIDS. Due di loro si innamorano ma... Nella prima parte, il film ha carattere corale e taglio semi-documentario, poi il cerchio si stringe sul dramma privato, con toni toccanti ma anche più scontati, anche se l'epilogo riesce ugualmente a commuovere. Nel complesso, un'opera che riesce a coinvolgere nelle vicende dei suoi personaggi senza nasconderne debolezze e contraddizioni, offrendo al contempo uno spaccato su cosa comportasse allora contrarre la malattia.

Gli anni ‘90 e l’epidemia dell’AIDS, con il calvario dei malati e le battaglie dei sieropositivi contro le cause farmaceutiche. Un film francese che combina bene la parte politica riguardante i diritti civili con quella intimistica sui rapporti sentimentali e la disperata necessità di contatti umani in una società poco aperta alla tolleranza. Ben descritto il contesto ambientale e buone interpretazioni degli attori in un film necessario per ricordare.

Cinéma vérité che scivola nel lacrima movie, coinvolgente e ben realizzato ma un po' indeciso tra dimensione pubblica e privata, tra rigore cronachistico e virtuosismi registici. Tolto il valore prettamente informativo, il film in sé non lascia moltissimo, eccettuato un certo cattivo umore (la parte drammatica è fredda e verosimile) e una certa strizza per il suo approccio mortuario e virulento (pur senza eccessi visivi) al tema dell'AIDS, filtro livido e nauseabondo che desatura i colori delle vite delle sue vittime. Cast mediamente notevole.

Pellicola che narra di un gruppo di attivisti francesi negli anni 90. Quasi un film documentario con giovani attori che riescono a rendere bene la disperazione e il silenzio assordante che circonda l'AIDS. Robin Campillo, raccontando avvenimenti da lui vissuti in prima persona, ne cura regia, sceneggiatura e montaggio. Tra un susseguirsi di azioni dimostrative, dibattiti, momenti di vita e scene di sesso crude ma finalmente utili alla narrazione sino a un annunciato finale che non può non colpire. Ottima prova di Nahuel Pérez Biscayart. Triste ma necessario.

La sensazione che resta è quella di una certa asfittica funerarietà, come testimonia un finale in cui elaborazione del lutto privata e politica (Sean e il gruppo di Act up) appaiono virare forzosamente verso la riconciliazione. Il vulnus pare risiedere nello sfumare irrimediabile di Campillo dallo sguardo partecipe e composito sul collettivo, alla storia d'amore tra Sean e Nathan, la cui sincerità non può correggerne la melodrammatica, pur se scioccante, "proverbialità". Bene tutto l'ensemble dei protagonisti con menzione speciale al duale Jeremie di Borenstein. Molto discontinuo.

La malattia, l’attivismo, l’amore: è concentrata in questo triangolo la vita di un ragazzo nella Parigi degli anni 90, quando all’Aids e alla latitanza di governo e industria farmaceutica si contrappone l’onda d’urto di Act Up! Grande e potente affresco di un’epoca, ma anche esemplare poema del presente in cui la passione per una nuova forma di impegno politico si unisce a vite private di giovani fragili e coraggiosi al tempo stesso. Eccellenti interpretazioni, salda regia, forti emozioni e scene di sesso di grande verità e delicatezza.