Non un thriller in senso classico quanto piuttosto un bel ritratto psicologico. Sì, del solito poliziotto che il giorno prima di andare in pensione finisce invischiato nell'immancabile caso di ripugnante omicidio seriale; ma non è questo che conta. Non è proprio il soggetto, il punto di forza di THE PLEDGE, quanto piuttosto l'accurato lavoro registico di Sean Penn e, naturalmente, il formidabile apporto di un Jack Nicholson sempre bravo. Capace da solo, magari con l'apporto delle fondamentali musiche soavi di Hans Zimmer (ottimo accompagnamento alla placidità dei paesaggi boschivi della provincia nordamericana), di catalizzare l'attenzione e di farci spesso...Leggi tutto soprassedere sui difetti di un lavoro impeccabile solo in superficie. Perché poi, a ben guardare, le molte ricercatezze formali stridono con le troppe banalità e gli abbondanti stereotipi. Mediocri ad esempio tutte le caratterizzazioni di secondo piano (escluse le fugacissime apparizioni di “mostri sacri” come Harry Dean Stanton o Mickey Rourke, trascurabili camei da un paio di minuti ciascuno), e anche nella figura del protagonista si intravede qualche sbavatura (coperta appunto dall'ottima performance di Nicholson). Funziona invece l'atmosfera avvolgente di mistero, lontana dagli action di oggi e improntata a un manierismo d'autore ovviamente distante dalle opprimenti logiche che regolano i vorticosi blockbuster hollywoodiani. Peccato comunque non aver puntato di più sull'intreccio giallo che, anche se poco originale (ma con un bel finale), sarebbe potuto essere costruito meglio e, vista l'inedita plausibilità della ricostruzione scenica, trasformare THE PLEDGE in un classico. Invece così è “solo” un bel film, poco deciso sulla strada da seguire e a tratti sconclusionato. Due ore passano però in fretta, ed è un gran merito.
Un Nicholson da applausi in un thriller che, senza di lui, da un certo punto in poi sarebbe stato troppo lento (in generale, la pellicola non fa del ritmo il suo punto di forza). Ci voleva il grande attore, che con la sua impeccabile interpretazione del poliziotto in pensione, che però decide di continuare le indagini per smascherare il vero assassino di una bambina, riesce a disegna un personaggio (più che credibile) sul viale del tramonto, ma con ancora uno scopo nella vita. Nulla, o quasi, lo distoglierà. Finale notevolmente amaro e bastardo.
Buon film diretto da un ispirato Sean Penn, la promessa è tratto da un romanzo dello svizzero Durrenmatt ed è un film che ha poco del thriller classico e più dell'opera meditativa, attenta alla psicologia dei personaggi (specie quella molto sofferta del protagonista) girata con ritmi più da film europeo che americano. L'amaro e cinico senso di consapevolezza del protagonista è al centro della pellicola, interpretata da un buon cast, su cui svetta il grande Nicholson in una delle sue migliori performances di attore.
Splendida pellicola diretta con polso robusto dall'ottimo Penn (soprattutto nella parte finale, quando i nodi, lentamente, vengono al pettine). È il film di un perfetto, strabiliante Nicholson che, nel ruolo dello scalcinato poliziotto in pensione, regala un'altra grandissima prova del suo talento. Alcune scene, tipo quella finale, sono davvero impossibili da dimenticare. Ottimo anche il resto del cast.
Ancora un'ottima prova di Nicholson che per certe caratterizzazioni è insuperabile. Siamo di fronte ad un film non semplice e per il tema trattato e per una studiata, riflessiva, ponderata regia che non ci incalza ma lascia che le scene si depositino in noi, pian piano. Potrebbe esser il suo limite la prolissità, ma credo che, al contrario, ben si sposi con il racconto. Se si cerca un lieto fine od una giustizia che sia piena tanto vale, allora, cambiar film; se si cerca invece una bella opera, siamo al posto giusto. Fotografia curatissima.
MEMORABILE: La scena iniziale e ovviamente finale.
Più che risolvere il thriller Penn vuole scavare dentro l'animo del poliziotto in pensione, caparbio e fedele alla promessa data, ma in verità interessato a dare un senso alla propria vita. A costo di comprarsi una stazione di servizio, a costo di usare una bambina come esca. Nicholson rende benissimo il personaggio afflitto da fantasmi interiori e sospetti striscianti, mentre gli altri attori sono solo comprimari. Evitabili alcuni cameo illustri. Pessimista e riflessivo come nello stile del regista, è un lavoro degno di attenzione.
Penn è un ottimo regista, tecnicamente dotato ma soprattutto ispirato. Cerca con i suoi film e con questo in particolare, di ispirarsi alle pellicole degli anni '70 e riporta benissimo le atmosfere, i personaggi e le vicende dei polverosi film di un cinema che guardava molto dentro i personaggi. Interpretazioni eccellenti, ritmi dilatati ma funzionali, storia disperata. Da vedere.
Redenzione, senso della vita, un ritmo lento senza cadute come in un thriller meditativo e asciutto della New Hollywood settantiana, un saggio di introspezione psicologica. Penn è regista tutt'altro che prolifico: ma i suoi film del decennio scorso lasciano il segno e questo forse vale anche più di Into the wild. Qui c'è un Nicholson capace di dare la giusta profondità al protagonista, una fotografia curata, un cast competente (col solito affidabile Eckhart). Amaro come il Fernet, ma rinunciarvi sarebbe un peccato.
La pervicace ostinazione di un poliziotto in pensione che indaga su un efferato serial-killer di bambine. Una narrazione, lievemente prolissa ma dotata di un valida efficacia supportata da un energico ed intenso Nicholson che si avvale di un cast maestoso ma spesso previsto solo come piccoli camei. L'attesa narrativa comunque è interessante.
Buon film diretto da un ispirato Penn che preleva la storia dal libro omonimo. La trama è interessante e ben strutturata, con un Nicholson ad altissimi livelli che interpreta il difficile ruolo di un cinico ispettore pensionato. Ritmo lento ma molto godibile.
Da uno stupendo romanzo breve di Durrenmatt, di programmatico rigore, Penn trae spunto per una opera sorprendente, permeata dal senso di umana impotenza di fronte alla complicità fra il male ed il caso, non interamente riuscita - specie nella parte in cui maggiormente si distacca dal testo d'ispirazione - ma ricca di suggestioni e passaggi struggenti. Nicholson, spesso relegato in età matura a parti di burbero benefico quando non macchietta al limite dell'autocitazione, offre qui un'interpretazione sofferta, ricca di sfumature, indimenticabile.
MEMORABILE: La promessa alla madre della bimba assassinata
Tutto sommato un po' deludente: mi aspettavo un film più complesso nell'intreccio giallo e più veloce nel ritmo. Invece mi sono ritrovato davanti a un'opera lenta, macchinosa e priva di mordente. Di certo ha il merito di essere diversa dai soliti thriller "a suspense" per le caratteristiche che ho sopraelencato, ma in alcune scene (vedi il finale) il pregio diviene difetto per quello che riguarda l'aspetto thriller. Consiglio quindi, a chi ha intenzione di farlo, di vedere il film non come un giallo; di certo non resterà deluso come me.
Penn prende un classico stampo narrativo (ex poliziotto che prosegue l’indagine su un serial killer di bambine, e corollario sentimentale con una madre) per stravolgerlo nel beffardo finale giocando sull’imperscrutabilità del destino e spiazzando le aspettative, ispirandosi al romanzo originario di Dürenmatt. Proprio il finale rende giustizia (e senso) a un film che si muove sulla prevedibilità, facendo irrompere la banalità del reale. Ottima performance sfumata di Nicholson come ostinato segugio e suggestive ambientazioni nel Nevada.
Da un romanzo del 1958 dello svizzero Durrenmatt, un bellissimo esempio di cinema. Sean Penn alla regia si rivela sorprendente e ci propone un lavoro rigoroso, in cui ogni inquadratura sembra avere un significato e la direzione degli attori è pressochè perfetta. Fantastica l'ambientazione fra le montagne del Nevada, luogo che aumenta a dismisura la sensazione di vuoto e di pericolo in attesa della prossima mossa del serial killer. Finale amaro, con una riuscita riflessione sul ruolo del destino nella vita delle persone. Da vedere.
Dalla promessa di un anziano poliziotto a una madre disperata si sviluppa un impegno che assumerà l’aspetto di una crescente ossessione. Il cast è notevole; su tutti troneggia il protagonista, Nicholson, capace di rendere magnificamente i demoni che attanagliano l’animo di Jerry, passato allo status di ex poliziotto, con tragiche conseguenze. Il finale è originale e inatteso (anche se il comportamento dei poliziotti è ambiguo); il paesaggio, da cultura ecologica, contrasta con la presenza nascosta del malvagio assassino.
MEMORABILE: Te hai l’età per ricordarti il valore di una promessa.
Poliziesco anomalo che si discosta dalle solite dinamiche sia investigative che d’azione e senza grandi colpi di scena tiene l’attenzione sul messaggio della parola data. Penn fornisce molti dettagli, alza il picco senza strafare, anche se specie nella prima parte l’amalgama degli eventi pecca in qualcosa. Anche l’esame dell’ambiente manca o non si è voluto esplorare. Nicholson bravo nei momenti di introspezione mentre il resto del corollario ha poco spazio.
O fai un thriller o fai un film psicologico. Se scegli una via di mezzo fai la figura di quello che voleva far piangere quando invece sapeva solo far ridere, perché credeva che la risata non fosse abbastanza nobile. Così però fallisci in entrambe le cose, ed è proprio il caso di questo film. Io penso ancora che se fai un un giallo devi sciogliere il finale, anche se sembra non andare più di moda. È una delle regole più ferree del genere thriller e, dovessi mai girarne uno, non mi sognerei di trasgredirne la regola più importante.
Ossatura gialla ma anima dolceamara per un film bello e intenso, di quelle lentezze che nascondono ampio respiro e grande umanità, con un Nicholson che, per una volta, riesce anche a tenere a bada la sua vena gigionesca. Qualcosa del finale però non mi ha convinto, un contrappasso giusto e allo stesso tempo beffardo che sulla carta funziona ma a conti fatti mi ha lasciato un certo senso di incopiutezza. Come intuibile, molto (neo)classicismo alla Eastwood nella confesione.
Film di mestiere, bello, forse non esaltante. Da non confrontare in alcun modo con il libro di Durrenmatt. Sia nei personaggi che nell'atmosfera. Non so se questo sia voluto ma certamente toglie al film la grandiosità e drammaticità del racconto originale. La storia è in qualche modo semplice: un investigatore promette di trovare il colpevole di orribili delitti e pur ritrovandosi a lottare contro i dubbi di tutti e contro un destino avverso è disposto a piegarsi a ogni necessità pur di riuscire a mantenere il suo impegno.
Un altro memorabile personaggio di Jack Nicholson: Jerry Black, poliziotto in pensione che non si rassegna all'esito del suo ultimo caso. Trovare quell'assassino diventa un'ossessione e il film più che raccontare l'indagine racconta proprio il crollo psicologico del protagonista. Il senso di smarrimento e di disperazione della mente del poliziotto pare estendersi anche al paesaggio circostante, il Nevada, ottimamente fotografato da Menges (già Oscar per Mission). Sottovalutato lavoro di Penn, per nulla inferiore all'osannato Into the wild.
Penn sceglie un argomento spinoso da trattare, pedofilia e serial killer, cercando di approcciare la storia dal punto di vista psicologico di un agente che sta per andare in pensione. La scelta è coraggiosa. Purtroppo non riesce a dare il giusto ritmo alla pellicola e, in alcuni casi, la giusta profondità ai personaggi, che sono tanti ma non sempre ben sviluppati. Lo stesso Nicholson, che dovrebbe essere un valore aggiunto, a volte diventa oggetto misterioso. Gran cast comunque, con camei come se piovesse e un Del Toro troppo poco usato.
Il film è ciò che resta del romanzo di Dürrenmatt una volta lavata via tutta la patina filosofica (l'impossibilità della giustizia, il Caso come giudice della vita). La pura vicenda gialla risulta, quindi, troppo semplice e lineare benché condotta con professionalità dal regista e dai (grandi) interpreti (bravo Nicholson, più ordinari gli altri). I toni lividi hanno, poi, il merito d'anticipare larga parte delle serie televisive americane d'ispirazione nordica. Inferiore allo sceneggiato di Negrin con Rossano Brazzi, comunque.
La miniserie Rai con Rossano Brazzi era più fedele al romanzo di Friedrich Durrenmatt. Penn invece sposta l'azione dalla Svizzera alle montagne del Nevada, aggiunge qualche personaggio di contorno, privilegia la componente investigativa a quella esistenziale, ma nel finale picchia ancora più duro (però quello originale è migliore). Modifiche non strettamente necessarie, per cui il valore aggiunto della pellicola è Jack Nicholson in un'interpretazione sofferta di rara intensità. Ottimo, ma in gran parte sprecato, il cast di contorno.
Poliziotto sull’orlo della pensione accetta il caso di una bimba stuprata e uccisa giurando ai genitori di trovare il colpevole (ma poi perché: sono parenti? Amici? Hanno un dolore comune? Mistero). Nella prima parte abbiamo un thriller promettente con indagini, verifiche incrociate attraverso lo studio di casi precedenti, dettagli, disegni, ecc; nella seconda, invece, si scade in un melenso dramma da TV movie con storiella d’amore, bimba da proteggere, milioni di falsi allarmi. Nicholson non avrebbe mai dovuto accettare un soggetto così banale.
MEMORABILE: In negativo: il finale.
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Friedrich Durrenmatt scrisse la prima versione della storia come sceneggiatura per un film di Ladislao Vajda ("Il mostro di Magendorf").
Successivamente, lo scrittore rielaborò la sceneggiatura, trasformandola in un romanzo breve, che ampliava i temi del primo scritto ed è considerato una delle opere maestre di Durrenmatt.
Sono solo io ad aver notato una illogicità nel personaggio dell’indiano arrestato all'inizio? È un minorato mentale, anche piuttosto grave, e… ha la patente???
Pigro ebbe a dire: Sono solo io ad aver notato una illogicità nel personaggio dell’indiano arrestato all'inizio? È un minorato mentale, anche piuttosto grave, e… ha la patente???
Uno dei film più INTENSI e SCONVOLGENTI degli ultimi trent'anni! CAPOLAVORO ASSOLUTO!
Buiomega71 ebbe a dire: Uno dei film più INTENSI e SCONVOLGENTI degli ultimi trent'anni! CAPOLAVORO ASSOLUTO!
Buio, ma non l'hai commentato!? Attendo di leggerti!
A proposito, occorre recuperare il film di cui questo dovrebbe essere un remake: Il mostro di Mägendorf di Ladislao Vajda (1958).
Pigro ebbe a dire: Buiomega71 ebbe a dire: Uno dei film più INTENSI e SCONVOLGENTI degli ultimi trent'anni! CAPOLAVORO ASSOLUTO!
Buio, ma non l'hai commentato!? Attendo di leggerti!
A proposito, occorre recuperare il film di cui questo dovrebbe essere un remake: Il mostro di Mägendorf di Ladislao Vajda (1958).
Per commentarlo, Pigro, devo rivedermelo (anche se lo ricordo piuttosto bene-e chi se lo scorda?-)
Prima del capolavoro di Penn era stato tratto un altro film dallo stesso romanzo di cui hanno attinto Penn e Vajda, e cioè L'ombra della Follia del regista olandese Rudolf Van Den Berg (1995), devo non dire anche non malaccio.