Tabù n. 2 - Documentario (1966)

Meno drammatico e più spumeggiante del primo, anche se la conclusione è analoga. Qui mi ha mandato in visibilio la Scandinavia, che come accorgimenti sociali batte da sola il resto del mondo; ma anche gli Stati Uniti, come paese più giovane, creano con disinvoltura perfino le sensazioni più semplici e inebrianti di libertà. Niente di nuovo per Cina e Thailandia, mentre l'India si evidenzia per la cura estrema del corpo come involucro dello spirito, alla stregua del Giappone, col suo stoicismo nel dolore. Vergognoso il modo dell'Argentina di trattare gli animali.

Con buona probabilità il molto materiale girato per il primo Tabù ha dato il via, tre anni dopo, a un secondo capitolo che ripercorre le medesime zone orientali del mondo, in contrapposizione a qualche curiosità dal civilissimo nord Europa. Rispetto al primo capitolo Marcellini spinge di più il pedale sulle efferatezze e, di conseguenza, la risata involontaria accresce. Ci sono delle certezze: "I giapponesi, anche i bambini, sono abituati a sopportare il dolore fisico con forza sovrumana. E' il modo di pensare che li rende così resistenti".

Marcellini ritorna sul luogo del delitto con un documentario dello stesso tenore del precedente, non più incentrato sui tabù ma sui miti presenti nel mondo (cambia però poco). Ritroviamo le solite scene ricostruite a onor di macchina da presa (i giovani che si baciano sui binari!). A tratti molto invecchiato, merita una visione, oltre che come testimonianza di un'epoca irripetibile, per godersi il tono cinico e bacchettone contro i giovani del narratore a cui qui dà voce Cucciolla, veterano nel commento di questi documentari.

Raschiando il fondo del barile con gli spezzoni scartati nella prima puntata, Marcellini si presenta puntuale all'appuntamento con il numero 2, decisamente molto peggio del primo, sia per il profluvio di irritanti sciocchezze del commento, sciorinate con rassegnata enfasi dal pur bravo Riccardo Cucciolla, sia per la balordaggine e la palese falsità di gran parte delle situazioni proposte, fra cui spicca la gara dei giovani svedesi a chi resiste di più sui binari all'avanzata del treno. Stucchevole finalino moralistico e retoricamente ottimista come di prammatica per questi film.

Marcellini subodora che risvegliando il mondo cane che dorme con un occhio solo si batte tanto di cassa, ed è di nuovo docu-bau bau. Quasi afono però: riposto il passe-partout del tabù e rimpiazzatolo con quello, impegnativo e meritevole tutt'altri portali, del Mito, è tutta aria soffritta quel che di tanta speme ci resta, per incapacità di arricciolare tema trainante (che più del nulla non rimorchia) ed enervato portato visivo. Sempre castigando ridendo mores (con un commento per cui inventare nuovi squalificativi) e azzardando due flosci fendenti tra un'insignificanza e l'altra.