Kerkhof sta ai serial killer come Buttgereit al suicidio: nel drammatizzarli episodicamente lascia che il male affiori per mano di un linguaggio cangiante: al divenir molteplice del soliloquio (il rap su sfondo rosso vuoto, il gospel, la nenia catatonica, il flusso joyceiano, lo spoken word brechtiano) si intrecciano modalità filmiche difformi (l’home movie deteriorato, la stroboscopia forsennata, l’inquadratura fissa) mentre i serial killer si mescolano a Ballard, Lannes e Manson tra voci reali e recitativi, e come nella loro mente realtà e immaginazione si fondono diventando la stessa cosa.
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ahimé purtroppo no. dopo estenuanti ricerche durate settimane e un solo risultato di subbi marziani in una lingua che avrebbe dovuto essere russa ma che nemmeno google translate ha riconosciuto, ho capitolato e me lo son visto a crudo, forte del fatto che bene o male conosco la lingua e buona parte dei testi usati (vi sono excerpts da crash e atrocity exhibition)
la versione da me trovata li aveva già encoded in tedesco, un pelo ha aiutato a implementare... ma se non mastichi l'inglese (o il deutsch) metà dell'opera va indubbiamente persa: non tanto quella della comprensione in sé del testo -che pure conta- quanto quella legata al modo in cui testo e voce che lo enuncia (ora reale ora attoriale) va a fare triade col lavoro sull'immagine.