Il bizzarro eclettismo, la tecnica nonché l’estro visionario di Matsumoto per raccontare la deriva di un uomo sommerso dal dispiacere che espia il proprio dolore (per tornare al piacere) attraverso punizioni corporee tra sadomasochismo e sadismo. Un torbido vortice di pulsioni e devianze nel Giappone contemporaneo dominato dal grigiore di fobiche preoccupazioni, stemperato da un particolare mix di humour nero, commedia pura e fantastico. Mostra la corda nell’esageratissima e stiracchiata parte finale, tutto il resto non è assolutamente noia.
MEMORABILE: I curiosi meta-siparietti degli addetti ai lavori che visionano il film; Tutte le apparizioni delle mistress.
Dopo aver stipulato un contratto col club Bondage, il protagonista subisce le aggressioni di dominatrix in lattice d'ordinanza nei luoghi e nelle situazioni più impensabili... Se le vie del piacere sono infinite, questa parte da un dramma familiare insanabile per imboccare la tangenziale del non-sense, con un pre-epilogo manga-delirante ed un epilogo di tenera assurdità. Il significato? Può essere compreso solo da chi ha 100 anni - questo viene detto del film nel film - quindi tanto vale lasciarsi andare e divertirsi.
MEMORABILE: La spiaccicatrice di cibo; nelle profondità della vasca; le discussioni dei critici che vedono il film a spezzoni
Anche Matsumoto non sfugge all'assunto che ogni autore fa polimorficamente sempre la stessa cosa: prende Symbol, ne razionalizza il non-sense, lo retrocede al di qua della poesia e ne cristallizza l'assurdità dirottandola in quella risaputa hybris ove piacere e dolore garantiscono una terza via. Ma il risultato, fatta salva l'ottima forma, è quello di una follia intirizzita, di una surrealtà studiata al millimetro, di un delirio truistico e meccanico, e non basta la stoccata metalinguistica contro quella forza dell'ordine che è la critica saputona a cavare d'impaccio dalla perplessità di fondo.
Fino agli ultimi trenta minuti (folli, inaspettati ed anche un po' "eccessivi") sembra quasi un film normale: almeno per gli standard del regista.
Se è vero che a tratti diverte e strappa delle risate; va anche detto che risulta un po' ripetitivo in certi elementi. E quella metacinematografica
critica ai critici, riesce ad andare a segno pur avendo gioco facile e risultando (a ragione e quindi non è campata per aria) in qualche modo giustificatoria
ed "assolutoria" in primis verso se stessi. Piacevole, ma non troppo.
MEMORABILE: La regina della saliva. Gli spezzoni metacritici contro i critici. Gli ultimi minuti.
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non so davvero che dire. non mi ha convinto. forse non l'ho visto nel giusto momento ma l'ho trovato troppo freddo, meccanico e tautologico. si ravviva giusto quando gioca metalinguistici tiri mancini. per il resto mi è sembrata la reprise di un symbol con le mistress al posto dei falli e con un l'assurdo di fondo molto razionalizzato. un po' come la parafrasi di una poesia.
tra l'altro ricordo che in merito venne aperta una discussione, con daniela che osservava qualcosa a proposito dei cerchi concentrici liquidi e risposte mie e di grey: come mai è sparita?
DiscussioneZender • 27/05/14 17:59 Capo scrivano - 47730 interventi
Come al solito sarà su un altro film e non l'ho spostata qui dove dovrebbe stare. A proposito dell'utilità dello scrivere nei film a cui le duiscussioni appartengono... Vedrai che se non divaghi le discussioni poi le ritrovi. Io di certo non l'ho cancellata.
DiscussioneDaniela • 28/05/14 08:34 Gran Burattinaio - 5930 interventi
Zender fa bene a tirarci le orecchie: divaghiamo fuori sede e poi chi se lo ricorda più dove è avvenuto lo scambio di idee...
Comunque, ho parlato di "cerchi concentrici liquidi" a proposito della tecnica con cui il regista visualizza il momento del piacere sul volto del protagonista (e, verso il finale, anche sul volto del bambino): il viso si deforma, con un effetto ottico che mi ha ricordato i cerchi creati da un sasso gettato nelle acque calme di un lago. Analogia del tutto opinabile, ovviamente, del resto il film è molto particolare.
a me è parso molto lineare nell'elaborazione dell'idea di fondo (direi troppo, a una certa te ne stanchi), e anche la marachella metalinguistica che irrompe a metà (e che scongiura la ricerca di un significato comprensibile solo da chi ha raggiunto una saggezza o una demenza totali) è troppo chiara per spiazzare davvero. posto che devo ancora recuperare zaya samurai, a mio gusto il matsumoto più ispirato continua a risiedere in symbol.