Hawaii, Oslo - Film (2004)

Drammi più o meno plausibili si incrociano in un'estate a Oslo dove i protagonisti sognano di inseguire futuri migliori, possibili vie di fuga. Film depressivo e monocorde sin dall'inizio, dove i punti di svolta arrivano troppo tardi, quando ormai lo spettatore è estenuato. Troppi i protagonisti, ma tutti con la stessa spenta espressione facciale. Si salva a volte la fotografia dai colori lividi e la colonna sonora non vive di luce propria, sembra saccheggiata dal film Nénette e Boni (Tindersticks). Film freddo anche se girato d'estate.

Ventiquattr’ore in una città dove si intrecciano vite, desideri, fughe, amori e destini: è Oslo ma è anche un Altrove, dove un “angelo” sogna la morte e il carosello delle coincidenze (eccessive ma necessarie, come in un apologo amaro) trascina esistenze disparate verso il sacrificio estremo. Incalzante la narrazione e il ritmo stesso delle riprese, che orchestra una coralità di presenze che aspirano alla pace e alla felicità in una torrida estate malsana. La provenienza clippara del regista si vede, ma qui è ben sfruttata.

Il registro è poetico (e la mano del regista capace di condurlo), il tema è un intreccio tra sogno e sogni, tra surreale e prospettive, ora disattese, ora candidamente infilate nel canovaccio delle coincidenze. Dopotutto è una fiaba e se i personaggi sono svedesi con camice hawaiane e il regno incantato è una Oslo ripresa senza troppi slanci, l'artificio in qualche maniera funziona, il film si lascia seguire, arriva anche a tenere con il fiato sospeso e a empatizzare.