Rassegna estiva:
Melò d'agosto-Un'estate melodrammaticamente melodrammatica
Leggiadramente crudele quest'opera premingeriana, che si ammanta di estasiante bellezza estetica nel tocco surreale del passaggio tra bianco e nero (la vita mondana vacua e apatica parigina) e il colore (la freschezza e la spensieratezza estiva nella villa sul mare nell'esoticheggiante panorama della Costa Azzurra).
Preminger comincia in modulità sbarazzina (il ballo in piazza, i dialoghi superficiali, le sciocchezzuole di una ragazzina viziata in vacanza, tra ozio e sollazzo), per poi insinuare tarli non proprio salutari (il rapporto padre/figlia con sottaciuti riflessi incestuosi, la cattiveria e la gelosia della Seberg che sfocia nelle linguacce fatte allo specchio, per poi prendersela istericamente con la sua bambolina, infilzandola di spilli alla maniera voodoo), sino ad una dirittura di arrivo crudele e cattivissima, quasi inaspetatta, dove il cinismo e il nichilismo del regista di
Bunny Lake è scomparsa viene fuori in tutto il suo decadente splendore e una chiusa pre lynchiana dolorosissima (la Seberg, che, ormai svuotata di ogni barlume di felicità, si spalma massiccie dosi di crema di bellezza sul volto angustiato davanti allo specchio).
Location , contesti e pianificazioni "diaboliche" da ante giallo lenziano, l'austerità della Kerr, la bellezza sfuggente e pericolosa della Seberg in un personaggio totalmente fuori dagli schemi per quegli anni, la carnalità sensuale della Demongeot e il suo tormentone "fulminante", sandaletti bassi lasciati sul tavolo, sandaletti con il tacco che fanno male ai piedini, la Seberg lascia le sue décolleté in mano al suo spasimante, per scatenarsi in un ballo a piedini nudi, oppure le lancia via dalle deliziose estremità appena rientra nel suo lussuoso appartamento parigino.
Ma non solo la vena feticistica del grande regista (che era avanti anni luce come stile di narrazione e regia, davvero modernissima), ma azzardati dialoghi piuttosto arditi per l'epoca, e una ragazzina diciassettene che pensa solo a tubare e al divertimento e se ne sbatte di studio e esami, e la troppa libertà dissoluta che si concedono padre (un'immenso David Niven) e figlia, da sfiorare il menage a trois (con la svampita Demongeot) incestuoso.
Gran pezzo di regia nel locale parigino, dove Juliette Gréco canta malinconica la canzone del titolo e la Seberg balla con il suo nuovo fidanzato, dove Preminger mostra, sul suo volto privo di letizia, la sua esistenza cupa e ombrosa.
Un mare limpido e vellutato, la pineta come passaggio fatato e luogo di amarissime sorprese, le serate mondane, i capricci di una ragazzina appena sbocciata che porteranno l'estate gaia e spensierata verso la tragedia e il rimorso insanabile.
Particina per il nostro Walter Chiari (è Pablo, un sudamericano ricco perennemente sbronzo al casinò, che si doppia da sè).
Graziosi i titoli di testa di Saul Bass
Silvio Amadio ne farà quasi un remake non dichiarato con
Peccati di gioventù, con Gloria Guida che imiterà la Seberg, ma senza troppe inibizioni.
Uno dei cult di Francois Truffaut per eccellenza.
La Costa Azzurra premingeriana dispensa solarità, freschezza, amorazzi, capricci, morte e decadenza dell'animo umano.