Fiction canonica che Ricky Tognazzi dirige senza particolari guizzi e che il protagonista Abatantuono interpreta correttamente, dimostrando professionalità e capacità non comuni nel tenere la scena pur in presenza di un personaggio non così incisivo come meriterebbe. Qui Diego è Giancarlo Ferraris, un imprenditore edile brianzolo che in pieno periodo di crisi comicia a sentire la stretta dei debiti e, per non essere costretto a licenziare i dipendenti prima e chiudere la ditta subito dopo, accetta l'aiuto inatteso di un giovane brillante (Paolo Mazzarelli), dallo sguardo ambiguo, che come prima azione fa in modo che un grosso debitore statale paghi alla ditta Ferraris un bel po' di denaro. E' solo...Leggi tutto l'inizio di un processo di subdola intromissione da parte della 'ndrangheta calabrese nel mondo del capitale al Nord: alla seconda difficoltà finanziaria Ferraris accetta un prestito di 350.000 euro dallo zio (Luigi Maria Burruano) del giovane e sarà chiaramente la fine dell'autonomia del gruppo. Una storia già vista (anche nella recente fiction che ha segnato il ritorno di Pozzetto sullo schermo, CASA & BOTTEGA, davvero molto simile), che fatica in un'ora e mezza a trovare uno sviluppo appassionante. Eppure il cast a disposizione non era male, nonostante un Burruano un po' spento e imbolsito, sempre bravo ma al di sotto dei suoi standard. I difetti maggiori risiedono forse in un soggetto troppo povero, prevedibile nella sua evoluzione, che tiene la polizia sullo sfondo (rappresentata da un unico personaggio decisamente scialbo). E' invece discretamente delineato il carattere del giovane delinquente rampante, figura spregevole per le sottili prevaricazioni che acquisendo potere diventano sempre più difficilmente sopportabili, per chi le subisce. Un processo di progressiva infiltrazione che ha il merito di essere spiegato con una certa chiarezza e di mettere in luce un fatto d'indiscutibile gravità. Nessuna concessione alla commedia, da parte di Tognazzi, solo un cupo dramma trattato però con i toni soft e patinati della fiction, qundi con molte semplicizzazioni di fondo e poco coraggio nello sganciarsi da quei copioni un po' preconfezionati che inevitabilmente tendono a omologare questo tipo di prodotti. Nulla di memorabile, ma una storia che si può seguire senza fatica e che trova in Ninni Bruschetta (il capocantiere) un discreto personaggio secondario. Piccola parte anche per Ugo Conti, nel film amico (come nella vita) di Abatantuono.
Argomento affrontato già in precedenza da Tognazzi in Vite strozzate (1996), ma con una destinazione e un registro completamente diversi. L'operazione ha lo scopo di tenere desta l'attenzione sulla sempre più crescente infiltrazione della mafia calabrese nelle imprese del nord. L’intento è apprezzabile, meno la realizzazione che ha troppo il sapore dell’”instant movie" e la storia ne risente procedendo senza guizzi e a carte scoperte. Abatantuono e Ricky Tognazzi al minimo sindacale mentre Ninni Bruschetta riesce a emergere dal piattume generale.
La crisi economica e le problematiche di molti imprenditori italiani d’oggi sono già state esposte nel recente Casa & bottega, ma se la fiction con Pozzetto era orientata - laddove possibile - a toni bonari, in “L’assalto” si espone il medesimo concetto con intensità mediamente più tragica avvalendosi di un Abatantuono in parte (e meno gigione del solito). La sensazione del “già visto” regna dunque sovrano e ciò sminuisce in parte il lavoro di Tognazzi; resta una robusta regia capace di tenere un buon ritmo per tutta la durata.
Il pregio di questa pellicola sta nella messinscena tristemente realistica, rafforzata dalla recitazione piuttosto naturale dei protagonisti (giustamente ultracalabrese lo zio, mentre più subdolamente inserito e ripulito il nipote). Abatantuono è convincente, ma è superato dal capocantiere (non male come personaggio; l'anello pulito di congiunzione tra nord e sud, dove ha le radici). Purtroppo, la seconda parte subisce un'innaturale accelerazione degli eventi; e in quattro e quattr'otto, causa tempi tecnici, capita tutto, finendo per banalizzare l'insieme. Comunque, nel complesso, non male.
MEMORABILE: Il capocantiere, riferito al grosso operaio, che si lamenta per il non stipendio: "E' un bravo ragazzo...c'ha le manone".
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Il titolo,il luogo dove è ambientato(Milano),la provenienza dei personaggi ricalca in buona parte a quello che è successo ieri(03/02/2014)a Gallarate in concomitanza della prima visione del film tv: assalto ad un furgone per liberare ergastolano aspirante boss(calabrese)della "'Ndrangheta",un morto e due feriti e boss tutt'ora in fuga(04/02/2014)..Quando la realtà supera la finzione.