Nói albínói - Film (2003)

Imprigionato in una gabbia di neve e ghiaccio che è un minuscolo paese d’Islanda. Così si sente un ragazzo, genio incompreso o stolto patentato, che sogna una fuga impossibile. Toni da commedia kaurismakiana (con momenti geniali come l’impossibile orientamento a est nel cimitero, risolto a acqua/fuoco) si intrecciano a una gelida amarezza che cresce implacabile e tombale tra stanche battute o lunghissimi silenzi squadernati in ampi paesaggi e in angusti ambienti, tutti caratterizzati da una fotografia verdognola da freezer d’altri tempi. Strano.

Essere minuscoli in un ambiente ostile e invisibili in un mare di ghiaccio. Difficile avere motivazioni quando i sogni finiscono su un mappamondo. Surreale quanto basta ma drammatico senza scampo, si prova empatia e disagio. Biancore che influenza la fotografia: si differenzia per gli interni per i toni saturi ma senza dare mai un minimo accenno di calore. Parte conclusiva che presenta un conto salato.

Uno dei film più insoliti mai visti. La trama ruota attorno a Nói, ragazzo scapestrato ma geniale, i cui sogni di evasione fungono da vero filo conduttore. D'effetto è la cupa fotografia, che aggiunge pathos alle lunari ambientazioni islandesi. Sebbene non manchino situazioni grottesche o timidamente sentimentali il film, che all'apparenza sembra incedere irrazionalmente, si risolve in un crudo e totalizzante nichilismo, da cui solo Nói pare da ultimo affrancarsi. L'ambiguo finale lascia però allo spettatore decretare le sorti della vicenda...

Film particolare e interessante, ben sceneggiato e ben condotto. I colori sono condizionati dalla perenne presenza del bianco della neve. Dialoghi ridotti all'essenziale. Il racconto si basa soprattutto sul rapporto dei protagonisti con un ambiente ostile e immutabile. Finale per certi versi intuibile. Bravi gli attori. Colonna sonora scitta in parte dallo stesso regista. Da vedere.

Cinema tipicamente nordico, non solo per l'ambientazione del paesino islandese alle pendici della montagna, ma anche per il tipo di regia, molto fredda, quasi asettica, senza il montaggio frenetico da blockbuster americano. Il disagio di un ragazzo albino intrappolato in nessuna delle condizioni che vorrebbe (sociale, ambientale, familiare): riesce alla sua maniera a rapportarsi con l'altro sesso, ma sicuramente non con la società e le istituzioni scolastiche, se non in modo "irriverente". Per lui solo un piccolo barlume dopo la fine.