90 minutes - Film (2012)

90 minuti per decidere la propria sorte, per porre giudizio e fissare le coordinate della propria esistenza e quella altrui; stabilire se vale la pena oppure no. Resoconto glaciale e asettico che nella sua calcolata durezza indaga tre alienazioni nel quotidiano inerme di una vita domestica. E’ una fuga e un riavvicinamento psicologico (e psicolabile) che monta di sottrazione esponendo, tra fuoricampo e camere fisse, dolore e pazzia, nichilismo e voglia di riacciuffare un rapporto che sembra perduto per sempre. Schematico ma duro, efficace.

Collage gelido ed alienato di situazioni estreme, di esistenze lacerate e traumatizzate giorno per giorno, la cui deriva porta inevitabilmente ad un esito di follia e morte. Buona prova registica, dal ritmo inizialmente lento, ma che monta in crescendo col lievitare della tensione, come una pentola a pressione che all'inizio si limita a borbottare per poi esplodere con conseguenze irreversibili. tra vittime e carnefici che si scambiano i ruoli, è difficile trovare la vera innocenza. Inquietante.

Possiamo ormai dirlo a testa alta: Haneke e Dumont han fatto scuola e stirpe epigonale. Lo testimonia questo ennesimo derivato residuale, freddo come il marmo obitoriale, traslucido e levigato come una clinica psichiatra restaurata, teoremicamente asciutto come una tesi di laurea su Baudrillard, lineare come una vecchia barzelletta, ma che sotto la dura scorza dello sprofondare nella mattanza austera non offre un vero e proprio costrutto teorico che possa fare da polpa e da spina dorsale. Resta solo il 'questo è quanto, piglia e porta a casa', e lo si termina pensando che qualcosa non torna.