Il conflittuale rapporto tra due sorelle, una complessata e alla ricerca di un'improbabile serenità, l’altra mentalmente disturbata. L’esordio al lungometraggio della Campion è una perturbante pellicola sulle tare familiari e personali, incentrato su due figure femminili antitetiche (anche fisicamente) eppur sovrapponibili emotivamente. L’insolito tocco della regista australiana le permette di affrontare con inquieta discrezione passaggi scabrosi (sessualità, incesto, malattia mentale). Ellittico, con alcuni passaggi irrisolti ma dall’afflato potente.
MEMORABILE: Sweetie che seduce il marito di sua sorella in spiaggia; Sweetie che insapona il padre in bagno; Sweetie nuda dipinta di nero.
Vitale, a volte sorprendente, audace, impreziosito da una bellissima colonna sonora quasi godspell. Inno alla follia e alla libertà, all'anarchia e alla spregiudicata femminilità. La Campion si dimostra già autrice di razza e porta in nuce tutti i suoi temi a venire con un talento visivo fuori dal comune (dai bellissimi flashback sull'infanzia sino agli incubi virati seppia sulle piante "mostruose"). Strabordante (in tutti i sensi) la Sweetie della Lemon (che sembra uscita dal primo John Waters). Di rara commozione la chiusa finale sulla bambina canterina.
MEMORABILE: Sweetie si rifugia sulla sua "casa" sull'albero, vomitando parolacce verso i suoi familiari; La pantomima per far scendere Sweetie dall'auto; I cavallini.
Un dramma del grottesco congegnato abbastanza bene che, dopo i primi 40 minuti farraginosi, si ravviva e offre alcune sequenze meritorie. Già i personaggi volgono tutti al tragico semiserio, alla nerdizzazione dei rapporti, all'ineluttabilità della sfiga. Nel loro cammino perditorio si inseriscono sprazzi di poetica beatitudine (le statuine dei cavalli, il canto della madre, il ragazzo che fa la verticale, sweetie che gioca col bambino) destinati però al rapido oblio.
Sfuggente, proteiforme, spiazzante come gli scarti d'umore della protagonista Dawn/Sweetie (un'ottima Lamon, alle prese con un ruolo fagocitante), l'esordio lungo di Jane Campion esonda da subito dai canoni della classica tragicommedia ad ambientazione familiare per percorrere un terreno ben più impervio, in cui la delicata trattazione in parallelo di una serie di tematiche tabù (la malattia mentale, l'abuso emotivo, la dipendenza da farmaci e alcolici, l'amore senile, persino l'incesto) viene stilizzata in un mosaico visivo di grande originalità, per quanto non sempre scorrevole.
"Abbiamo deciso di organizzare noi stessi il casting di Sweetie. Essendo novizi in questo campo e completamente privi di qualsiasi pregiudizio , siamo riusciti a mettere insieme un èquipe molto originale".
"Credo proprio che senza Geneviève non si sarebbe potuto fare Sweetie. In ogni generazione di attrici si trovano rari casi di bravuracome ha dimostrato lei in questo film".
"Quando è venuta alla sua prima audizione per il ruolo di Kay, Karen lavorava come cameriera in un caffè. Al momento in cui è stato deciso di selezionarla, era in vacanza in Svezia per un tempo indeterminato. Era sicura del fatto suo e dopo aver preso il primo aereo disponibile ha fatto altre due audizioni ottenendo il ruolo".
"Sweetie mi ha fatto decidere di realizzare un film tutto mio con un piccolo budget. Ho pensato che se avessi chiesto pochi soldi, avrei potuto fare un film inusuale. La cosa più importante e che ho lavorato con gente di cinema della mia generazione che non aveva avuto , come me, nessuna esperienza di lungometraggi".
Fonte:Dichiarazioni di Jane Campion su Sweetie, contenute nel libro "Dizionario delle Donne Regista", intervista a Jane Campion, pg. 215
io lo vidi al cinema Sweetie, in una retrospettiva sulla Campion, ma troppo tempo fa per recensirlo ora. Mi era molto piaciuto, lo ricordo lynchano (solo nello stile però) e irriverente. Ma per me The Piano rimane uno dei film della vita, un capolavoro, imbattibile.
Rebis ebbe a dire: io lo vidi al cinema Sweetie, in una retrospettiva sulla Campion, ma troppo tempo fa per recensirlo ora. Mi era molto piaciuto, lo ricordo lynchano (solo nello stile però) e irriverente. Ma per me The Piano rimane uno dei film della vita, un capolavoro, imbattibile.
Di "lynchiano" non ha praticamente nulla (forse visto nel 1989. Se proprio qualche eco dal John Waters degli inizi), ma visto col senno di poi, radicalmente e indissolubilmente campioniano
Più che irriverente direi vitale e viscerale
Il suo capolavoro, per il sottoscritto, rimane In The Cut
Il film è della Campion fino al midollo, soprattutto per le tematiche, ma degli inserti lynchani ci sono: non tanto il Lynch cinematografico, ma quello dei corti e dei mediometraggi, dove usa stop motion, soluzioni grafiche e animate dal gusto avanguardista e retrò. Poi la Campion abbandonerà questo sperimentalismo per una forma più classica, anche se in The Piano se ne può ancora assaporare una scheggia quando la piccola Anna Paquin racconta il passato (immaginario?) della madre.
Rebis ebbe a dire: Il film è della Campion fino al midollo, soprattutto per le tematiche, ma degli inserti lynchani ci sono: non tanto il Lynch cinematografico, ma quello dei corti e dei mediometraggi, dove usa stop motion, soluzioni grafiche e animate dal gusto avanguardista e retrò. Poi la Campion abbandonerà questo sperimentalismo per una forma più classica, anche se in The Piano se ne può ancora assaporare una scheggia quando la piccola Anna Paquin racconta il passato (immaginario?) della madre.
Non ci sono "stop motion" in Sweetie (tolta forse la scena delle radici e delle piante mostruose, ma più che Lynch ricorda certi horror ottantiani), men che meno soluzioni grafiche animate
Sweetie è puro Campion, e francamente non ci ho visto nulla di lynchiano (almeno, per quanto mi riguarda), anzi...
Curiosamente, almeno col tempo, si appropierà di echi "sweetiani" Todd Solondz
E non dimentichiamoci l'incubo splatter alla pista di pattinaggio di In The Cut