Credo, forse, di essere uno dei pochi a cui il film ha lasciato una sensazione di freddezza e convenzionalità e che trova il regista di
Festen (citato durante la festa natalizia vista dal di fuori, attraverso la finestra) parecchio sopravvalutato.
Già William Wyler con
Quelle due aveva detto tutto in merito alla calunnia (là un rapporto lesbico, quì l'onta della pedofilia) instillata da una perfida bimbetta, che divampa come un virus inarrestabile e che parte da un ambiente scolastico. E lo aveva trattato anche con più cattiveria e crudeltà (la disperata scelta finale di una delle due accusate).
Vintenberg ne segue le tracce, ma il suo racconto di persecuzione, di paranoia e di ingiustizia, finisce presto nei meandri del deja vu, con una prevedibilità quasi imbarazzante (vedrai che le uccideranno il cane/le uccidono il cane, oppure verrà aggredito a casa sua tipo
Cane di paglia/le tirano un sasso che infrange la finestra e per poco non lo becca in testa) e che segue tutte le coordinate prestabilite di questo tipo di film, non dicendo nulla di nuovo a riguardo. così come nel finale à la
Scene di caccia in Bassa Baviera, che seppur ambiguo (il marchio e l'infamia, che tu sia innocente o meno, ti rimane addosso per sempre, come la A di adultera nella
Lettera scarlatta) non incide come dovrebbe (nel lasso di tempo di un anno, dove tutti si sono riappacificati così. come se nulla fosse successo, alla "volemose bene"), facendo rimpiangere quello alternativo, che almeno, un pizzico di ferocia lo avrebbe avuto.
Se c'è del marcio in Danimarca, Vintenberg lo gestisce in maniera ordinaria e nel mood più usuale possibile. Non aggredisce, non affonda i denti come la materia avrebbe rischiesto, restando nel limbo di un dramma di denuncia (per aprire dibattiti) uguale a mille altri, senza davvero colpo ferire.
Realizzato impeccabilmente, per carità, con un Mikkelsen che giunge ai limiti della perfezione attoriale, la bimba davvero odiosa con quel vizio di tirare su con il naso, le suggestive sequenze di caccia al cervo, la morsa kafkiano/polanskiana che avvinghia Mikkelsen è ben resa, e almeno due momenti ansiogeni sono ben orchestrati (la violenta reazione del figlio verso la bimbetta che prende a sputi in faccia e si fa cacciare di casa a sberloni, l'aggressione al supermercato tra pestaggi, scatolette lanciate addosso a mò di lincaggio e terribili testate liberatorie) e un'inaspettata deriva nel politicamente scorretto (uno degli amichetti del fratello mostra alla bimba un pene eretto davanti al volto di due donne, in una foto porno sul PC, elemento "estraneo"-
il suo pisellino guardava verso il cielo-che servirà alla piccola vipera per alimentare la sua immaginazione accusando il povero Mikkelsen di atti odiosi), nonchè la bambina che si innamora del maestro, facendolgli regali amorevolmente preparati e baciandolo sulla bocca nel momento in cui Mikkelsen fa il Beningni di
Chiedo asilo con gli altri bambini (i baci sulla bocca li danno i grandi ai grandi). Ma che non mantiene la carica emotiva fino in fondo, vieppiù anche per il comportamento di Mikkelsen, che pare subire il tutto passivamente (manco le avessero ritirato la patente), reazione sproporzionata e quasi innaturale davanti ad un'accusa così infame (mai conosciuto un danese in vita mia, per carità, ma la loro pacatezza mi pare un luogo comune, e andrebbe in controtendenza con la carica di rabbia "giustizialista" del figlio) e anche il confronto alla messa di mezzanotte natalizia, poteva essere gestita di meglio che non una frignata e un "guardami negli occhi".
Manca l'ingrediente fondamentale: la visceralità e la durezza (quella vera) a discapito della glacialità scandinava vinterberghiana e di fastidiose stoccate pseudo"buoniste" (dopo tutto l'inferno che passa, Mikkelsen vuole ancora bene alla piccola accusatrice Klara, prendendola pure in braccio, aiutandola a oltrepassare le righe sul pavimento). E fatto ancor più gravoso (su cui si poteva lavorare di più) e che Vintenberg lascia "i giochi del mostro o l'infanzia dannata e perfida" sullo sfondo, appanandolo, offuscandolo, non facendo ben capire-volutamente?- la psicologia della piccola Klara (scherzi da bambini? Bugie innocenti su cui i bambini non sanno quantificare la devastazione? Piccolo mostro in erba alla
Giglio nero?) visto che prova la gelosia e innesca la "vendetta del rifuto" come una donna adulta (per dirla alla Fulci/James: Nessuno
saprà mai se i
bambini sono mostri, o
se i
mostri sono bambini), ma a Vintenberg pare che tutto ciò interessi fino a mezzodì.
Insomma, parecchi dubbi e ben pochi entusiasmi, per uno dei film più sopravvalutati degli ultimi anni (così come il suo regista).