Martin Scorsese dirige un interessante documentario sull'attività professionale di Bob Dylan a partire dagli esordi, fino alla metà degli anni '60, forse il periodo creativamente più fertile del grande cantautore americano. Una lunghissima intervista al protagonista, inframmezzata dalle sue esibizioni live, e a testimoniance di celebri colleghi. Dylan emerge dal documentario come uomo e artista controcorrente, refrattario alle mode (si veda la svolta "elettrica"), e sempre pronto a mettersi professionalmente in gioco.
Da appassionato narratore di viaggi esistenziali più contrastati, Scorsese si concentra sulla prima parte (dal 1961 al 1966) della carriera di Bob Dylan, forse perché il giovane Dylan è meno enigmatico di come l’abbiamo sempre conosciuto (solo un po’). Ne nasce un film “fiume” ma anche estremamente fluido, in cui risalta la dimensione musicale raccontata con lo stesso scrupolo scientifico della più accurata monografia letteraria. Alla fine la domanda sorge spontanea: Bob e Marty, l’ebreo e l’italoamericano; cosa li unisce?
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