Sorelle mai - Film (2010)

I pugni in tasca come compenetrazione di immagini associative, confrontando, sovrapponendo. Bello, intimo, coraggiosamente sperimentale nel saper documentare raccontando una piccola-grande epopea posata su 10 lunghi anni. Un atto d’amore per la famiglia, sulla famiglia, riflettendo con delicatezza sul rapporto che quest’ultima ha con l’arte e su come possa incidere profondamente - nel bene e nel male - sui comportamenti e i rapporti interpersonali. Cede qualcosa nella parte finale, ma la sincerità dell’operazione è sempre limpida.

Pur con qualche limite (storia molto sfilacciata, attori in gran parte non-professionisti) mi è parso un film complessivamente riuscito. Un progetto ambizioso durato ben nove anni, durante i quali vediamo la protagonista (Elena Bellocchio) crescere da bimba ad adolescente, mentre sullo sfondo la sua famiglia cambia più volte assetto (solo le vecchie zie rimangono ferme e immutabili nel tempo). Lo stile è perlopiù volutamente amatoriale, con giusto qualche tocco d'autore qua e là. Interessante.

Bobbio come centro del mondo, dove nascere, dove vivere, dove morire. Girato in nove anni, con un cast in cui si possono vedere tanti membri della famiglia Bellocchio. Le sorelle (le zie) sono il punto fermo, sono la sicurezza; ci si può allontanare da esse (e dal paese) ma si finisce per ritornarvi, per ritornare al fiume dove ci si ritrova per tuffi in acque sempre nuove e sempre le stesse. Roma e Milano sono miraggi che attirano e che respingono, esperienze necessarie a una certa generazione. È ancora il mondo del regista che offre riflessioni.

Cinema autobiografico, tra documentario e sperimentazione. Attori professionisti si affiancano ai parenti del regista nella casa di Bobbio, dove la piccola Elena cresce con le due zie che sono un portento di naturalezza. Bellocchio mette insieme elementi diversi per raccontare il suo cinema e le sue radici in un'opera coraggiosa, pregevole per spontaneità.

Esperimento filmico molto interessante che traccia un racconto lungo dieci anni attraverso i cambiamenti degli stessi personaggi e ricucendo vari episodi di vita staccati e autonomi. Il regista si avvale del suo stesso parentado che, però, ci tiene a ribadire, non recita sé stesso. L'intensità espressiva che col tempo matura di Pier Giorgio Bellocchio entra nel cuore. Ottime la Finocchiaro e la Rohrwacher. Il finale lascia aperti alcuni dubbi interpretativi.