Sulle tracce del fratello disperso in guerra, scopre che costui aveva sposato la figlia del beduino. Non c’è dubbio che la cosa migliore di questo film siano le ambientazioni nel deserto libico e nelle rovine del teatro romano di Sabratha. Il resto è dimenticabile: sentimentalismo dozzinale, sequenze belliche naif, antropologia del pittoresco. Non c’è un guizzo narrativo o registico che possa risvegliare l’attenzione per una trama prevedibile e melensa, e anche i salti del flashback indotti dall’investigazione non nascondono alcuna sorpresa.
Un esotismo da cartolina quello del film di Desmond Hurst, tanto che il film si lascia soprattutto apprezzare come reportage documentaristico sulle bellezze della Libia, i cui splendidi paesaggi sono fotografati davvero a dovere. Altra cosa dal punto di vista narrativo, laddove la pellicola si rivela un "polpettone" avventuroso incapace di suscitare interesse e la cui trama è totalmente prevedibile anche perché il regista manca della capacità di creare un minimo di tensione. Turistico.
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