Totalmente e indissolubilmente aronoskyano, immerso in una New York caliginosa e incubotica (vero pezzo forte del film), fiaba oscura sulla repressione sessuale e i suoi derivati, stati di allucinazione progressiva che vanno sempre più a fondo, fino ad un finale di rara potenza visiva.
Etoile di Del Monte non è passato invano,
Eva contro Eva come punto di riferimento, le viscerali e terrifiche visioni metropolitane dell'Adrian Lyne di
Allucinazione perversa, una discesa negli inferi del proprio lato oscuro che sconfina nel body horror più estremo (la pelle che viene via come l'unghia di
Brundlemosca, gli specchi bramosi che riflettono l' immagine distorta, la ferita sulla scapola che sanguina, le gambe grottescamente spezzate, le dita dei piedi unite, lo scrocchio dei piedi sulle punte, la mutazione antropomorfa sul parco la sera della prima, le piume nere che fuoriescono dalla pelle), fino a sprofondare nell'horror tout court (quello che resta di Wynona Ryder e le guance prese violentemente a staffilate, le gambe martoriate con impressionanti cicatrici cronenberghiane, i dipinti che sghignazzano e chiamano il tuo nome, la straordinaria e craveniana sequenza della vasca da bagno, il vecchio maniaco sulla metro, la furibonda lotta femminea contro lo specchio, la scheggia di vetro conficcata nello stomaco, il sangue che cola fuori da sotto la porta del bagno, il collo che si allunga mostruosamente) e poi quell'ultimo, mortifero, meraviglioso balletto prima della caduta nell'eternità.
Il gettare via i peluche, il toccarsi a letto (Nina chiusa nella sua stanzetta e tutto il mondo fuori) ma con la madre sempre vigile e castratrice che spezza l'incanto del sesso solitario, il lesbismo come chimera del lasciarsi andare ai sensi, la raffinata citazione a
Suspiria (Cassel e la Portman che discutono seduti nella piazzetta, alle spalle di una fontana, sull'incidente ai danni della Ryder) e su tutti la figura terrifica di mamma Hershey (perchè a lei niente candidatura per la miglior attrice non protagonista?) dagli inquietanti e ferini cambi d'umore repentini (la torta).
Nettamente superiore all'
Albero della vita, ma inferiore a quella follia distruttiva che è
Madre, dove Aronofsky ricerca un cinema più mainstream, più accessibile a tutti, ma con il suo inconfondibile stile (che, giustamente, come ogni grande autore, divide nettamente) spostando il mondo della danza al centro del racconto (come farà Guadagnino con il suo
Suspiria) dove il ballo, in primis, è sofferenza continua :sudore, sangue, carne, contornandolo di paure ancestrali e di pura e lucida follia uterina.
Unico neo dell'opera aronofskyana è il senso di prevedibilità che avvolge già dai primi minuti (e come se, prima di vedere il film, qualcuno te lo abbia già raccontato), e tutto succede secondo i piani prestabiliti, senza un vero e proprio colpo di scena
SPOILERSi intuisce già che l'acerrima nemica di Nina è se stessa, che quello che le succede è solo dentro il suo squilibrio mentale (il rapporto omosessuale con Lily, la lotta finale con omicidio) e che si stà mutando nel cigno nero, risveglio brusco del suo lato tenebroso e represso.
FINE SPOILERMa tolto l'aspetto "convenzionale" (che, però, non sminuisce il film, perchè di una bellezza visiva estasiante e di alcuni momenti shock che vanno a segno) e la cupezza dell'insieme, tipica dell'autore di
P greco a rapire e a ammaliare come un sortilegio (aggiungendoci l'alienazione metropolitana di cui Aronosfsky è maestro).
Qualche bruttarello effetto in CG non inficia più di tanto questa favola nerissima e catramosa, fino a toccare vertici di pura poesia cinematografica (la macchia di sangue che si espande sul candore bianco del glitter body) nel meraviglioso e onirico ultimo spettacolo.
La mia bambina