I due compari - Film (1955)

Film ipocrita all'ennesima potenza. D'accordo, potrebbe riecheggiare parzialmente un noto soggetto di Frank Capra, ma forse solo nella paternalistica italietta democristiana del 1955 poteva aver origine un'operina tanto fasulla, con i ricchi saggi e bonari che perdonano e giustificano un padre (Fabrizi), in realtà venditore ambulante di penne di poco pregio, il quale, con la complicità di un altro cialtrone (De Filippo), si fa passare per facoltoso affarista e mantiene con fatica la figlia (Rubini) in un collegio di lusso.

Derby Roma-Napoli. Roma con l'umanità di Aldo Fabrizi, Napoli con la comicità di Peppino de Filippo. Con questa coppia inconsueta Borghesio produce un film in equilibrio fra commedia e sentimento ove alla fine prevale quest'ultimo. L'opera si può definire in due parti: si comincia con l'inganno dei due venditori ambulanti verso il consuocero e via via si arriva al dramma della figlia ammalata e del padre alla ricerca del medicinale. Ovviamente inevitabile l'happy end. De Filippo con la sua performance evita che il film sfoci nel melenso. 7.500 lire negli anni Cinquanta per un ricostituente mi sembrano un po'tante. C'erano quei prezzi o il regista ha voluto enfatizzare il dramma?

Si fronteggiano la comicità partenopea e quella capitolina in questa commedia sentimentale diretta da Carlo Borghesio. Più brillante e riuscita nella prima parte, maggiormente melensa nella seconda, l'opera sconta una caratterizzazione stereotipata dei personaggi e una deriva troppo zuccherosa della sceneggiatura. Buone le interpretazioni degli attori. Si può vedere.

Commediola infarcita di buoni sentimenti che perde rapidamente ogni residua credibilità fino al finale inverosimile. Fabrizi e De Filippo si barcamenano come possono tra toni comici e drammatici, ma alla fine i loro personaggi non risultano né particolarmente simpatici e nemmeno comici. Ripetitivi sono infatti i loro battibecchi e tormentoni, tipo la fame incontenibile di De Filippo.

Una favoletta candida alla Capra con personaggi da Commedia dell’Arte e cucinata da Carlo Borghesio (al suo ultimo film) in salsa neorealista. C’è la farsa e c’è la malinconia, ci sono gag da comica muta e il dialogo serio, ci sono l’equivoco e la storia d’amore, i due compari truffatori sono dei poveri diavoli che commuovono anche il Commissario della Questura e i ricchi sono buoni, amabili e hanno il cuore d’oro. La commistione di questi elementi eterogenei tutto sommato ha successo, ma il sapore del film risulta piuttosto insipido. Regia senza guizzi. La coppia comica Fabrizi-De Filippo funziona a corrente alternata ma Peppino diverte di più.

Parte benissimo, con la splendida fusione della comicità di Fabrizi e De Filippo, espressioni, tra le migliori, dell'identificazione con due città. Effettivamente nella prima porzione di film la gara di bravura fra i due è convincente; poi, alla distanza, il palco crolla fragorosamente, finendo per rendere vani gli sforzi degli attori. La colpa sono da indiviuarsi in una sceneggiatura poco avvincente e in una regia che non risparmia momenti di bassa marea.

Commedia delicata, su misura per il duo Fabrizi-De Filippo che sforna duetti e gag esilaranti (la prima vendita di penne è imperdibile), soprattutto nella prima metà fatta di equivoci e più comica. Poi subentra una vena malinconica, non disprezzabile, che soprattutto Fabrizi gestisce con grandissima misura e maestria. Non da meno Carlo Ninchi in un ruolo di "ricco" diverso da come è rappresentato solitamente dalla nostra cinematografia. Da vedere.

Simpatica favola d'altri tempi che si regge essenzialmente sul contraltare comico dei duetti fra Peppino e Fabrizi, che sono il sale del film. L'attore romano la vince ai punti grazie a un personaggio più complesso, ricco di sfumature, ma le risate di pancia sono tutte made in Napoli. Un film cui gli anni passati non hanno giovato e vale più che altro come documento storico, ma resta nel complesso un buon prodotto nel suo genere girato da grandi professionisti che hanno fatto la storia del cinema italiano. Regia a tratti leziosa. Gli appassionati potrebbero gradire.

La premiata ditta Fabrizi-De Filippo si esercita in questa commedia degli equivoci e dei buoni sentimenti, ma anche dell’arte di arrangiarsi a discapito altrui, che scorre via con professionale regolarità senza troppi picchi, anzi, nella seconda parte eccede in qualche decelerante sdolcinatezza. L'imbonitore Giovanni, malinconico popolano che farebbe di tutto per la figlia, ha come spalla truffaldina Ciccillo, voracissimo parassita un po’ babbeo. Insieme portano questa nave melensa nel sicuro porto del lieto fine. Dolcissima Giulia Rubini, la "fidanzata d’Italia" dell’epoca.