Note: Ennesimo prodotto frutto della collaborazione tra il produttore Mark Hellinger ed il regista Dassin. Nel cast tecnico spicca il direttore della fotografia William Daniels, che vincerà l'Oscar per un altro film di Dassin "La città nuda".
Eccellente dramma carcerario che coniuga impegno ed intrattenimento. La sceneggiatura di Richard Brooks denuncia le storture del regime carcerario, oscilla tra passato e presente per raccontare le parabole di uomini spezzati dal destino, ed offre ad Hume Cronyn (star in età avanzata grazie a Cocoon) il più bel ruolo della sua carriera, quello di un secondino frustrato nelle sue ambizioni e di conseguenza avvezzo alla crudeltà. Dassin pagherà il suo orientamento progressista con l'ostracismo di Hollywood e dovrà cercare fortuna in Europa.
Si può vedere come grande metafora della vita, il piccolo mondo chiuso di un carcere, con i grandi capi, i capi, i sottocapi (in cerca di avanzare), la "ciurma", ed infine il "popolo" dei detenuti, con i loro eroi, le loro spie e le loro "mafie". Nessuno manca, tutti perfettamente caratterizzati, con una bellissima foto in b/n (se non c'è il sole non c'è colore e il sole nel penitenziario non arriva mai). Ci sono anche Calypso e il dottore, a loro modo filosofi, che hanno capito come prendere le cose e sanno che dalla vita non si può fuggire.
Tanto bello quanto amaro questo film di ambientazione carceraria, in cui si resta basiti davanti a soprusi, regolamenti di conti, carrierismi e disillusioni. La lezione è chiara: non vi è più divisione fra buoni e cattivi, ma detenuti che si conformano ai secondini e viceversa, lasciando come unico spartiacque il possesso di una divisa per riconoscere gli uni dagli altri. Burt Lancaster e Cronyn lasciano intravedere grande personalità. Ottimo Bickford: eccellente presenza scenica e carattere ne fanno un caratterista superiore alla media.
MEMORABILE: Il dottore (Art Smith), personaggio a metà fra medico e filosofo, con mimica facciale e sembianze che ricordano il grande pianista Arthur Rubinstein.
Cella R17. Sei uomini, il sogno della fuga. Un giovane detenuto pronto a tutto, un vecchio recluso ormai rassegnato, un capo guardiano sadico, un medico saggio e sconfitto dalla vita. Questi i protagonisti, contornati da una galleria eccellente di personaggi minori, gestiti benissimo da Dassin. Film carcerario di durezza imprevedibile in piena epoca di Codice Hays, mostra la prigione come un universo dominato dalla violenza, nel quale nessuno trova scampo e non resta che rassegnarsi o gettarsi verso le canne puntate dei fucili delle guardie.
Le ultimissime battute pronunciate dal dottore, autorizzano una lettura metaforica della pellicola: la prigione è dunque una metafora della vita da cui nessun uomo può davvero scappare. Ma anche preso solo come prison-movie, ci si accorge ben presto di trovarsi dinanzi ad una pellicola di grande bellezza e grande forza emotiva in cui nulla è casuale. E visto l'anno di uscita è un film molto coraggioso non solo per il pessimismo di fondo ma anche per la messa in scena della violenza che per l'epoca non era poca cosa. Bella prova di Lancaster, ma gigantesca è la prova di Bickford.
MEMORABILE: "Nessuno scappa. Nessuno è mai scappato veramente".
Meno potente rispetto al mio Dassin preferito (il brulicante I trafficanti della notte) ma comunque di straordinaria tenuta. Il regista di origini francesi firma un esemplare prison movie in cui i caratteri, come conviene al genere, son scolpiti con la necessaria monodimensionalità, che pone lo spettatore nella condizione di immedesimarsi e parteggiare per il manipolo di reietti capitanati dal massiccio Lancaster contro un inedito, viscidamente sadico Cronyn. Fondamentale l'ausilio del b/n di Daniels, succedanee apparizioni della Blyth e della De Carlo.
MEMORABILE: Cronyn che "tenta" il carcerato ex travet inducendolo sostanzialmente a suicidarsi per non tradire i compagni; Cronyn in canotta, invasato di potere.
Grande film carcerario, uno dei riferimenti imprescindibile del genere, Forza Bruta è più in generale un'allegoria pessimistica del contrasto fra istituzioni oppressive e istinto libertario e forse della vita stessa, come sembrano suggerire le parole conclusive. Un'allegoria plurivalente che trae la sua forza dal realisno della messa in scena, dall'ambientazione claustrofobica dominata dalla presenza degli orologi a scandire un tempo che non sembra passare mai, dalla potenza delle scene d'azione. Formidabile il cast fra i detenuti, ma è l'aguzzino sadico Cronyn a restare più impresso.
MEMORABILE: Le "esecuzioni" delle due spie: pressa e carrello su rotaie; Il corpo gettato dalla torre di guardia
Grandissimo dramma di ambiente carcerario. In poco più di 90' c'è tutto quello che si possa chiedere: personaggi ben tratteggiati, storie individuali, azione incalzante. E' il cinema di papà, nella sua versione migliore: niente fronzoli, effetti speciali strabilianti, fotografia pittorica e altro; basta la sostanza del racconto, teso, amarissimo e senza speranza (il carcere come metafora dell'esistenza, è in sintesi la sconsolata riflessione finale del medico-filosofo, ubriacone e profondamente umano, che ha il compito di chiudere la vicenda).
Un manipolo di galeotti in una prigione a picco sul mare, storie di uomini vinti, ognuno con un passato da scontare più o meno ingiustamente. Il desiderio di fuga è tanto e coagula in quegli straordinari ultimi 20 minuti, dove si dispiega tutta la bravura del regista nel proiettare l'aggressività del pubblico su quei volti e quei corpi abbrutiti dalla disperazione. A volte sin troppo duro e serio, ma l'argomento lo esige.
Buon film carcerario a tinte noir con i consueti personaggi (il detenuto fiero, il secondino viscido etc. etc.). A differenza di altri prodotti simili evita però la violenza fine a se stessa così come qualsiasi vago compiacimento poetico. Si tratta infatti di una pellicola permeata di un semplice, crudo realismo. Il bravo Burt Lancaster è circondato da un cast di attori bravissimi. Belle le attrici. Ambientazione riuscita grazia a una fotografia claustrofobica.
Il primo film importante di Dassin rappresenta un ottimo compromesso tra le ragioni dell'impegno civile e quelle dello spettacolo, e si pone come pietra di paragone per tutto il cinema carcerario a seguire. La sceneggiatura di Richard Brooks tratteggia personaggi che sono dei veri e propri archetipi, tra i detenuti (l'indomito ribelle, il leader carismatico, i delatori) e non solo (il sadico capitano delle guardie, il medico alcolizzato ma saggio, il debole direttore). Interpreti e confezione di pregio, per l'epoca coraggiose sia le idee che la rappresentazione della violenza.
MEMORABILE: Le incalzanti musiche di Miklós Rózsa; La riunione; Le esecuzioni dei delatori; I flashback con i personaggi femminili; La rivolta.
Possente prison movie fra i primi e più validi esempi del genere. La mano felice di Dassin viene esaltata da una vicenda ben scritta, che non lascia spazio a facili sentimentalismi e procede lineare verso una nemesi inevitabile. Gli sparuti flashback sulla vita fuori dalle sbarre mitigano l'angustia delle scene girate giocoforza quasi tutte in location interne, senza togliere fluidità alla narrazione. Ottima la scelta del cast soprattutto nelle parti secondarie con una regia che non lascia nulla al caso. Fondamentale la fotografia "sporca" di Daniels, quasi da noir. Grande cinema!
Notevole dramma carcerario che ha tra i meriti quello di caratterizzare piuttosto bene i personaggi, facendo anche accenno alla loro vita pre carcere. Soprattutto riesce a mostrare la fragilità di un sistema che può essere minato da politici, direttori servili e esitanti e guardie (il capitano) che possono fare danni tremendi. Ciò non toglie che anche i detenuti abbiano le loro colpe; e la pellicola lo mostra, con tanto di escalation e beffardo finale. Bravo il protagonista (Lancaster), ma il dottore non gli è da meno (pur essendo un bevitore, è il più lucido). Da vedere.
MEMORABILE: "Che discorso funebre". "Perché, non siamo sepolti? Solo che non siamo morti"; La spia in officina; Impiccato; Il faccia a faccia capitano dottore.
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Daniela, se non lo hai visto recuperalo prima possibile. E' un film di alto valore e credo di poter scommettere che ti piacerà.
DiscussioneDaniela • 10/11/15 00:09 Gran Burattinaio - 5930 interventi
Visto tanti anni fa: gran film e gran cast!
La figura che mi è rimasta più impressa è quella del carceriere (non ricordo se direttore o capo delle guardie) sadico e bastardissimo interpretato da Hume Cronyn, tanto bravo nel ruolo che per decenni ho identificato l'attore con il personaggio. Pensa che mi c'è voluto il vecchietto di Cocoon per trovarlo simpatico e "perdonarlo" :o)
Cercherò di recuperare il film.
Ricordi bene: il direttore delle guardie è una vera carogna. Vedendolo mi ricordava qualcuno, ma solo leggendo commenti sul Davinotti e sul Mereghetti ho capito chi era e l'ho identificato col simpatico vecchietto di Cocoon.