Terrore sull'isola dell'amore - Film (1968)

Curioso prototipo di un sottogenere che lo stesso Joe D'Amato elaborerà in maniera alquanto bizzarra con Porno Holocaust (1981). Nonostante effetti e make-up siano in linea con i prodotti a costo zero del periodo, il film vanta un certo ritmo, oltre ad una fotografia, specie nelle sequenze notturne, decisamente di qualità. Si abusa un po' troppo della macchina del fumo, quasi a voler citare a tutti i costi il filone gotico italiano di Bava e compagni, ma certe ingenuità fanno parte del gioco. Erotismo teso e mai telefonato. Precursore.

Uno scienziato si reca, insieme all'attraente e procace consorte bionda, su un'isola tropicale per indagare sui mutamenti che certe radiazioni avrebbero causato sulla fauna e flora locali. Una delle co-produzioni horror USA-Filippine con John Ashley, prodotte dalla Hemisphere. I trucchi sono risibili (da notare un albero-vivente indegno di un fantasy per bambini dell'asilo!) e gli interpreti recitano (si fa per dire) da cani.

Poco noto horror caratterizzato da una forte tensione erotica e con ambientazioni prettamente notturne, girate e fotografate con certa attenzione. La trama delirante non pesa sulla concezione e messa in scena di sequenze ardimentose e visionarie, spesso a base di alberi dotati di vita, con ramificazioni mobili al punto che non è improprio pensare possano avere influenzato analoghe scene presenti ne La casa di Sam Raimi. Soprattutto in considerazione di un finale che presenta momenti gore e splatter di certa consistenza. Nonostante in Italia non se lo sia filato nessuno, vanta ben due sequel.

Filmaccio che sfrutta il periodo (mai concluso, purtroppo) dei test atomici. Gli ingredienti ci sarebbero tutti: l’atollo contaminato, gli indigeni superstiziosi in balia del mostro e alcune bellezze locali e non, come la protagonista, con enorme cofana di capelli biondi. Peccato che manchino, una regia dignitosa e effetti accettabili (le piante tentacolate e la farfalla mordace fanno sorridere, mentre il mostro mutante fa solo pietà). Detto questo, a parte il piccolo colpo di scena verso la fine, non si salva quasi nulla.

Il low budget è un'arma a doppio taglio perché può determinare esiti eccezionali così come disastrosi. Nella seconda categoria rientra questa coproduzione americano-filippina che spolvera la fantascienza Anni Cinquanta (contaminazioni e mutazioni radioattive) con soffi asmatici di exploitation (sesso, gore ed esotismo), in seguito riproposti anche in Italia. Il trash dilaga fra alberi tentacolati e una farfalla gigante, raggiungendo l'acme con il mostro liquescente e il balletto indigeno finale: perfetti per una sfilata di Carnevale il primo e per un varietà televisivo il secondo.

Sottoprodotto in ritardo di quindici anni sulla data di realizzazione, salvo per i vaghi pretesti sexy (la moglie porcona e il mostro allupato). Povertà paurosa, nessuno sforzo di inventarsi - scemenza per scemenza - qualcosa di meglio per far fuori il coso e risolvere la situazione (già, ma poi le piante?). Indifendibile anche in ottica "psicotronica".

Una parete (di sesto grado) liscia per le continue sciocchezze propinate e che, perciò, non offre appiglio alcuno alla rivalutazione cult. Indigene con toppini, capotribù tontoloni, un mostro caracollante di formaggio fuso con l'espressione irrigidita dal low budget e un esercito di chiacchiere. Non mancano la bionda fedifraga dalla cotonatura refrattaria al caldo umido della giungla e il servitore fedele sfregiato. Un disastro. E pure noioso.

Non fosse per qualche nudo e squarcio erotico di troppo, questa coproduzione fra USA e Filippine potrebbe essere retrodatata di una decina d'anni. Storia, effetti speciali, musica, fotografia e persino il look della biondissima Beverly Powers rimandano innegabilmente agli anni '50. Pur nella sua poveristica nullità, emana comunque un suo oscuro fascino. Pare sia stato il capostipite di una lunga serie di horror low budget girati nelle Filippine, poco noti in Italia ma di un certo successo sul mercato americano.