Morire a Roma - Film (1973)

Sincero e introspettivo. Malauguratamente fra le 3 o 4 scene-chiave c'è il resto del film, alquanto noioso e melodrammatico. Duro e veritiero il discorso del ragazzino al professore, lacerante dal gran che è reale la critica finale del protagonista agli attivisti di sinistra e par condicio di San Babila ore 20: un delitto inutile nei confronti dei teppistelli di destra. Finale inaspettato. Se non siete ispirati non vedetelo.

Un regista TV in crisi esistenziale, sua moglie Anna e poi un professore omosessuale preso da un giovane rivoluzionario innamorato segretamente di Anna. Una storia sulle assurdità della vita e sulla volatilità delle amicizie, come un circolo imperfetto dove però, se non fosse per la bella fotografia di Luciano Tovoli, si staglia l'interrogativo amletico sulla sua utilità complessiva.

Incomunicabilità borghese all'epoca d'una stagione colma di crisi (e ridiscussione) di valori. Mingozzi ha l'occasione di dirigere un bel gruppo di attori ma riesce negli intenti solo con la caratterizzazione del professore di Berger, poeta dai molti echi pasoliniani in bilico tra amore & supplizio, mentre Brogi e Farmer si lambiccano in vacui propositi suicidi tra confessioni e sguardi rivelanti disagi interiori. Il quadrato poco magico è chiuso dal giovane pseudo ribelle e libertino Turco, vaga espressione del '68. Finale un po' forzato.

Lui maturo ama lui giovanissimo, amico di coppia, un duo complice in tutto (forse). A una capacità tecnica nell'uso delle inquadrature e dei movimenti, si accompagna una trama che va a corrente alternata, che si conclude con un finale del tutto immotivato, che pare messo lì solo per sorprendere e che, francamente, diventa persino ridicolo. Anche le prestazioni attoriali, tolto Berger (bravo come sempre, aiutato da un personaggio meglio sfaccettato) non convincono. Brogi e la Farmer (i due protagonisti) sono poco espressivi e poco giustificati nei loro intenti. Turco resta indefinito.

Se si è alla ricerca di cinema di intrattenimento è il caso di girare alla larga da questo film, lentissimo in molti punti. Ma per gli amanti del cinema d'autore può essere una pellicola molto valida. Ci sono alcuni cliché del genere, come gli scontri politici e le riflessioni sui rapporti tra classi e l'ipocrisia borghese. Gianfranco Mingozzi è regista abile ad amalgamare questi ingredienti con qualche innovazione, ma non riesce a dare grande ritmo al suo film, che pur risultando molto interessante finisce per essere un'opera per pochi. Sempre che questo sia un male. Buono.