Chi avrà già avuto occasione di visionare e apprezzare il prototipo hard cui fa eco questo quasi-remake (vale a dire
Forced entry, anno 1973, uno dei porno americani più sordidi, cupi, malsani e oscuri mai realizzati nella
golden age), non potrà che convenire sul fatto che l'originale sia di tutt'altra pasta qualitativa.
La pellicola precedente di
Shaun Costello, oltre a vantare la belluina quanto nauseante presenza scenica di
Harry Reems (un veterano del
"dirty cinema" nei panni di un veterano della
"dirty war" per antonomasia), affondava il coltello nella piaga degli orrori del Vietnam e delle sue ripercussioni sociali e mentali (peraltro, in geniale anticipo rispetto a opere d'impatto come
Taxi driver,
Combat shock e
Allucinazione perversa), ricorrendo a un sorprendente montaggio allucinato capace di alternare in modo straordinariamente efficace sconvolgenti immagini di repertorio in bianco e nero (provenienti dal Vietnam) al girovagare del folle protagonista tra le strade della Grande Mela.
La tensione palpabile che il film piano pianino accumulava nel suo delirante percorso era inoltre acuita da un lugubre accompagnamento musicale - ora minimale, ora folcloristico/tribale - in grado a più riprese di far accapponare la pelle nel vero senso del termine.
Questo rimpastino soft firmato da
Jim Sotos non presenta nessuno dei connotati scioccanti sin qui esposti, e sceglie di appiattirsi in maniera grigia sulle anonime gesta di un altrettanto anonimo violentatore come tanti se ne vedono al cinema (bolsamente interpretato dal gorillesco carneade
Ron Max).
Succo del discorso: non fatevi scappare l'opera originale, un pugno nello stomaco e nel cervello difficilmente eguagliabile.