Il veterinario - Miniserie TV (2005)

Il veterinario (miniserie tv)

Volti del cinema italiano nel cast VOLTI ITALIANI NEL CAST Volti del cinema italiano nel cast

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 1/09/08 DAL BENEMERITO GUGLY
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Gugly 1/09/08 23:25 - 1185 commenti

I gusti di Gugly

Solita fiction italiana: interpreti anche bravi e spunti credibili (un innocente finisce in galera accusato di frode alimentare) vengono frullati in un pastrocchio buonista e mieloso che affronta vari temi (rapporti umani, potenza dei media) senza approfondirne nessuno. La Galiena è piuttosto spaesata. Lieto fine d'obbligo, con il solito sfondo di una Roma solare e "gattona" come il protagonista.

R.f.e. 14/02/10 18:39 - 816 commenti

I gusti di R.f.e.

La più brutta fiction buonista e velleitariamente "consolatoria" nella quale sia stato coinvolto Gigi Proietti (e ultimamente l'hanno pure replicata, 'sti impuniti!). Attori sprecati (Garrani recita distrattamente, Montini finge di crederci davvero, ma siamo noi che non gli crediamo manco per un attimo) e una co-protagonista alla quale qualcuno dovrebbe far brutalmente notare che, nonostante un passato d'attrice sexy, oggi è soltanto una signora sovrappeso dall'avvenenza alquanto opinabile...

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  • Discussione Gugly • 2/09/08 19:38
    Portaborse - 4710 interventi
    dato il tenore del mio commento a questa fiction ( eppure è risaputo il parere che ho del protagonista) , posto qui un intervento dell'insigne Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere il 31 agosto, diciamo un proseguimento del discorso sulle fiction che vado facendo da un po':



    L'Italia falsa delle fiction
    La fiction televisiva è l’esatto opposto del cinema italiano... una sua caricatura

    di Ernesto Galli Della Loggia
    Come si vede in questi giorni a Venezia il cinema italiano continua a mostrarsi ricco di idee e di talenti, vitale e competitivo. L’Italia però non sembra accorgersene, non sa che farsene: solo così si spiega come mai da noi impazzi da anni quella particolare rappresentazione cinematografica che si chiama fiction, la quale ha nella televisione pubblica e privata la sua produttrice e consumatrice esclusiva, e quindi può contare su milioni di spettatori ogni sera. La fiction televisiva è l’esatto opposto del cinema italiano, una specie di sua adulterazione permanente. Meglio: una sua caricatura. Il cinema ha raccontato l’Italia agli italiani e al mondo, e facendolo non solo ha contribuito a formare come nessun altro la coscienza vera del Paese, ma ha saputo spesso esprimere significati morali ed estetici di valore universale. Ancora oggi registi come Pupi Avati, Giuseppe Tornatore, Gabriele Muccino, Marco Tullio Giordana, raccontano con il timbro della verità e della poesia storie che parlano di noi, che riguardano il nostro passato e il nostro presente.
    Esattamente l’opposto di quanto si vede sugli schermi televisivi: non per nulla tranne eccezioni rarissime nessuno dei registi di nome del nostro cinema viene chiamato a dirigere la fiction che va in televisione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sempre fatte salve le solite eccezioni (dalla lontanissima «Piovra » ai più recenti «La meglio gioventù» o «Montalbano ») la fiction sia della Rai che di Mediaset è una cosa da brividi: dialoghi surreali, scenografie e location posticce, interpreti regolarmente mal scelti e una recitazione sempre sgangherata, fuori tono, in genere troppo enfatica (anche bravi attori come Virna Lisi, Diego Abatantuono o Giancarlo Giannini sono costretti a recitare battute improbabili in ruoli che non stanno assolutamente in piedi). Ma sono le trame e le sceneggiature che soprattutto gridano vendetta. Qui è il trionfo dell’inautentico, dell’implausibile, del finto. Finti, fintissimi, i carabinieri, i distretti di polizia, la gente di mare, i posti al sole, i medici, e tutto il resto che popola le serate degli italiani. Finte pure le foibe, i don Bosco, i De Gasperi.
    Ma non la grande finzione delle favole, bensì il povero finto delle stoffe dei magliari. Si capisce a prima vista, ad esempio, che tutti sono alla ricerca del nazional- popolare, del «semplice ma avvincente e profondo», epperò ogni volta il risultato è il patetico, il falso, la tirata retorica, la lacrima e il grido che sanno unicamente di artificio. Alla fine, così, restano solo e sempre, anche quando fischiano le pallottole e ululano le sirene, scialbi, scialbissimi fumettoni piccolo-borghesi dove nulla riesce ad apparire ciò che vorrebbe essere. Il difetto è nel manico, dice chi se ne intende. E cioè che nel caso della televisione italiana il ruolo del regista è sempre sostanzialmente marginale mentre invece il potere vero è nelle mani dei vertici delle direzioni aziendali, ormai divenuti i veri grandi boss della produzione. Da tempo sono ormai questi a decidere delle trame, degli sceneggiatori, degli attori, di tutto. Quasi sempre però— e questo è il punto decisivo— tenendo conto soprattutto del proprio personale tornaconto, spessissimo di propri personali legami con interessi esterni, anziché di parametri qualitativi degni di questo nome. È anche in questo modo, umiliando il proprio cinema, restringendo il campo d’azione dei suoi uomini e donne migliori e dunque perdendo la capacità di raccontarsi, che un Paese non riesce più ad essere se stesso, a ritrovare la propria identità. E se quel Paese è l’Italia, la cosa forse ci riguarda da vicino.
    31 agosto 2008