Un poliziesco di Fernando Di Leo, quand’anche girato svogliatamente, è quasi sempre superiore alla media nazionale del genere. IL POLIZIOTTO E’ MARCIO fa parte dei Di Leo più ispirati, sia per la già più volte rimarcata grande capacità del regista nel dirigere gli attori (eccellente il lavoro sul solitamente non impeccabile Luc Merenda), sia per l'originalità dell'idea che muove il film, cioè quella di un poliziotto clamorosamente corrotto. Non vanno dimenticati poi gli splendidi (e diversissimi da quelli utilizzati nei poliziotteschi italiani medi) dialoghi, spesso esaltati da figure di secondo piano interessanti quando non spassosissime...Leggi tutto macchiette: è il caso del solito Vittorio Caprioli (fedelissimo di Di Leo), qui un napoletano trapiantato poco felicemente a Milano che passa il tempo a lamentarsi e presentare esposti al commissariato. La figura del protagonista, spesso macerata da rimpianti e notevolmente combattuta (anche per il difficile rapporto col padre, onesto capo distretto dei Carabinieri), è disegnata benissimo, tratteggiata con sfumature che la rendono più umana di qualsiasi poliziotto visto finora. E poi non dimentichiamo l'azione, con splendidi inseguimenti sul Naviglio conclusi spesso spettacolarmente. Insomma, pur non al livello di capolavori come IL BOSS o MILANO CALIBRO 9, IL POLIZIOTTO E’ MARCIO rientra di diritto nel ristretto novero dei migliori noir prodotti in Europa, grazie anche a un finale imprevedibile e una padronanza della macchina da presa che strappa gli applausi. Poco incisiva invece la colonna sonora dell'altre volte più ispirato Luis Bacalov. A tratti davvero spassoso.
Ottimo film poliziesco di Di Leo, che dovendo proprio girare un prodotto del genere (e "di genere"), pur su commissione, si tolse la soddisfazione di non presentare il solito sbirro tutto di un pezzo, incorruttibile e pronto a violare la legge solo per poter assicurare alle patrie galere (quando non agli obitori) quanti più malfattori possibile. Qui il poliziotto è marcio già dal titolo. Discreta sceneggiatura, buoni attori (passabile Luc Merenda) e una scena d'inseguimento per le strade di Milano da annoverare tra le migliori del genere.
Luci e ombre per un poliziottesco che nonostante sia ben lontano dalla perfezione, è comunque superiore alla media di genere. Merito di una discreta regia di Di Leo che riesce, soprattutto grazie ad alcune belle scene di azione (cosa usuale per le sue pellicole), a risollevare una sceneggiatura non sempre all'altezza che si segnala però per il guizzo finale beffardo e nichilista.
In tempi di fiction-promozione per le forze dell'ordine, un titolo del genere oggi è impensabile ed improponibile; non che non ci fossero difficoltà ai tempi per il nostro Di Leo ma... insomma, alla fine film del genere potevano uscire. Luc Merenda è sempre l'attore che è (lasciamo perdere) ma qui la sua recitazione marmorea (come lui solo Henry Silva) è funzionale. Poco incisiva la caratterizzazione di Caprioli (altrove ben più piacevole) mentre Randone regala il suo sguardo severo e malinconico al padre del protagonista corrotto.
Di questo stupendo film girano copie immonde in vhs dalla qualità più marcia del poliziotto in questione. Abbiamo degli autentici mostri sacri del poliziesco all'italiana: Pellegrin nei parti di un criminale bastardissimo, Conte nei panni del solito intrallazzatore e Merenda che naviga tra corruzione e sensi di colpa, che alla fine tenterà di fare giustizia. Magnifiche scene.
Lontanissimo dai commissari di ferro del poliziesco, il corrotto Domenico Malacarne è parente stretto degli antieroi del noir, con cui condivide un destino nichilista e tragico. La pars drammaturgica (il toccante dialogo tra Merenda e l’integerrimo padre Randone) e la pars politica (gli esposti dell’emigrato napoletano Caprioli) sgusciano tra inseguimenti da brivido ed efferatezze criminali; peccato però che la dilagante violenza gratuita – insostenibili le uccisioni della Boccardo e di Randone e riprovevole quella del gatto - non si riscontri anche nelle troppo sbrigative scene di vendetta.
MEMORABILE: Pellegrin gambizza i componenti della banda rivale; le lamentele di Caprioli; Randone rinnega il figlio; l’aggressione alla Boccardo.
Anche qui non manca lo humour di Caprioli, ma quest'opera si distacca dalle altre di Di Leo. Qui si fa sul serio e più che la corruzione in sè, se ne esprimono le ragioni e le inevitabili conseguenze. L'incancrenimento interiore del protagonista e le tardive ribellioni alla disfatta imminente ce lo fanno apprezzare nostro malgrado. È difficile simpatizzare per un personaggio pieno di debolezze, ma Di Leo vince questa scommessa e il film merita un voto alto.
MEMORABILE: Memorabile il dialogo fra padre e figlio.
Trattasi di un prodotto di notevole livello; Fernando Di Leo alla regia è sinonimo di garanzia. Un poliziesco DOC con scene piuttosto forti, un paio di inseguimenti da cineteca e un pizzico di thriller sparso per tutto il film. Un cast di rilievo (Randone, Conte, Caprioli), ed un Merenda che riesce perfettamente nella parte. Da citare un paio di freddure da pisciarsi sotto.
Ci voleva Di Leo per avere un commissario che esce dagli stereotipi del senso del dovere e del sacrificio. Il poliziotto è marcio e lo rivendica senza problemi anche in faccia al proprio padre integerrimo Carabiniere. Mezzo poliziesco (con un inseguimento fra i Navigli magistrale), mezzo noir, direi il miglior Di Leo al di fuori della trilogia. Non stona Luc Merenda nella parte del corrotto ed il resto degli attori tiene alla grande la scena. Su tutti il solito dileiano Vittorio Caprioli.
MEMORABILE: Sissignore, sono corrotto! Sono un infame, un traditore! Ho 60 milioni da parte, un amante di lusso e quando alzo la voce tutti si schiaffano sull'attenti!
Uno dei migliori Di Leo e anche uno dei più violenti e feroci: gli omicidi sono davvero terribili (da Caprioli alla Boccardo, da Randone a Milli). L'idea di un commissario di polizia che inizialmente sembra integerrimo ma che ben presto si rivela corrotto è qualcosa di inusuale nell'ambito del poliziesco italiano. Lode a Di Leo che, pur non essendo un frequentatore abituale del genere, si dimostra superiore di diverse spanne firmando uno degli inseguimenti più belli mai visti. Fondamentale.
MEMORABILE: Il dialogo tra Merenda e Randone quando viene fuori la collusione del primo con la malavita organizzata.
Nomi significativi (Malacarne quello del poliziotto protagonista); ambientazioni metropolitane (una caotica Milano); inevitabili boss attivi chi nel contrabbando di caffè, chi in quello di sigarette; scontri tra bande malavitose per il predominio del mercato di droga. Dopo un incipit in perfetto stile poliziesco, scandito da ritmati inseguimenti lungo le vie milanesi e sui navigli, Di Leo focalizza la sua attenzione sul personaggio corrotto e benestante, agiato e cullato dalla malavita. L'ottima sceneggiatura, redatta dal regista su spunto d'un bel soggetto di Sergio Donati, è ben valorizzata.
Noir e amaro. Il soggetto e la sceneggiatura sono di primo livello; il film alterna però ottimi momenti ad altri inutili e poco convincenti, soprattutto quelli comici o melodrammatici. Tutto girato in una Milano livida e nebbiosa, con attori notevoli, inseguimenti spettacolari, pestaggi e delitti feroci. Appena sotto la mitica trilogia, ma da vedere assolutamente.
Un mistero come questo film non abbia avuto la stessa risonanza mediatica de La piovra; dalla solida struttura narrativa alla valida regia, curatissimo anche nelle musiche, rappresenta un valido esempio di poliziesco all'italiana dove la violenza fine a se stessa è parte integrante del tessuto narrativo. I personaggi sono spietati, il quadro generale è crudo e disturbante, ma profondamente autentico.
Di Leo prosegue la sua personalissima strada del noir poliziesco, stavolta affrontando il tema della corruzione di un commissario (il bravo Merenda). Il regista, pur non rinunciando ad alcune scene d'azione ben fatte, preferisce però indagare la psicologia del personaggio e mette in scena un dramma duro e spietato, senza speranza nemmeno nel crudo finale. Violenza piuttosto alta, con alcune scene che certamente restano impresse; notevole la prova del cast e calzanti le musiche. Non siamo ai livelli di altri classici del regista, comunque buono.
Sarebbe bastato rappresentare (un) poliziotto marcio, attraverso il film (trama e tecnica notevoli) lasciando allo spettatore maturo e consapevole il gusto di osservare eroi ed antieroi, in piena italica tradizione. Ma qui si fa di tutta l'erba un fascio, cosa curiosa ma non di mio gusto. Era necessario stigmatizzare il questore come un inetto e fascistoide (la celebrazione del fermo di polizia)? E lo stesso errore non è stato fatto pure inquinando la figura del padre e Carabiniere, con tale sproloquio sulle botte fatte per far confessare gli indiziati? **!
Bello tosto questo poliziottesco di Di Leo, con classiche scene di inseguimenti, spietate uccisioni e inserti comici (già il cognome del corrotto, Malacarne, è indicativo rispetto ai cognomi altisonanti di altre pellicole del genere). Mi è piaciuto Merenda, in particolare nel rapporto con il padre. Il finale non è chiarissimo, con uccisioni poco logiche ma senz’altro utili all’epilogo drammatico.
MEMORABILE: L’inseguimento iniziale in auto lungo i Navigli, luogo assai frequentato dai cineasti dell’epoca.
De Leo disarticola scientemente il poliziottesco, innervandolo con elementi di solidità strutturale originali per il genere e ribaltando il cliché del commissario incorruttbile (un Merenda di cui viene sfruttata l’ambiguita del phisique e visage, du role). Fondamentale la credibilità che le vecchie volpi Caprioli, Randone, Conte infondono a personaggi a forte rischio macchiettistico. Crudo, teso, a tratti melvilliano, mantiene intatta la sua vis polemica in virtù d'un etica cinematografica che non scende a compromessi, ma solo nelle pieghe della Malacarne.
MEMORABILE: Il lussuoso pied a terre nel quale Merenda si gode i “privilegi” della corruzione.
Prodotto originale nel mostrare un poliziotto che scende allo stesso livello dei delinquenti che persegue. E che sono brutti ceffi da far paura, capaci di ammazzare uomini e gatti coi sacchetti di plastica. Un po' esagerato il patetismo della figura di quel poveraccio del carabiniere padre del commissario. Alquanto ridicoli i trafficanti portoghesi, che il doppiaggio fa parlare in spagnolo (sic). L'intreccio comunque funziona e diverte, anche se a volte è alquanto divagante.
In perfetto stile Di Leo un poliziesco di ottima fattura: ritmo sempre notevole, inseguimenti mozzafiato e sceneggiatura interessante perché un po' fuori dagli schemi di genere (stavolta il commissario è corrotto). Ad interpretarlo un Merenda più in parte di altre volte, ma il cast è indubbiamente nobilitato dalle caratterizzazioni di Caprioli e, soprattutto, di Randone. Davvero eccellente.
L'ambiguità, nascosta sotto la chiarezza di un titolo inequivocabile, è forse la cifra migliore di questo noir tutto italiano con tanto di superstiziosa datazione: venerdì 17 aprile 1973. Da annotare l'ambiguità di un Luc Merenda commissario eroe-antieroe e soprattutto l'ambiguità di farlo apparire migliore dei suoi superiori, non marci, ma fortemente prevenuti e attenti più all'apparenza che alla sostanza. C'è poi un velato (ma non troppo) confronto tra polizia e carabinieri. Notevoli gli inseguimenti in auto. Caprioli e Randone come sempre ottimi.
Ottimo poliziesco non conforme al cliché dell'epoca. Diretto con molta maestria da Di Leo il quale dimostra tutta la sua bravura nel rendere "accettabile" un Luc Merenda che recita questo difficile ruolo spesso con la grazia di un manichino. Randone bravo ma un po'... spaesato; non sarebbe stato meglio fargli indossare una divisa?
MEMORABILE: Il dialogo tra il commissario e suo padre; La solita risposta laconica del commissario: "Poi ti dico".
Un'efficace pellicola del regista pugliese, forse il suo unico poliziesco, infarcito di vicende noir. Due ottimi inseguimenti (il primo magistrale) e una girandola di situazioni molto variegate e tese che conducono a un finale non del tutto imprevedibile. Grande cast con un monumentale Randone (memorabile il confronto drammatico con il figlio, un aitante Merenda). Bravo Caprioli in un ruolo a lui congeniale. Vicenda belluina ma sempre ben appropriata. Uno dei migliori Di Leo di sempre.
Spietato e marcio (come da titolo) questo noir mette in mostra un "anticommissario" che è la reincarnazione del concetto di corruzione. Di Leo, come sempre, dà vita a un film decisamente elegante, sottolineando con inquadrature studiate nei minimi dettagli, elementi della trama che si riveleranno importanti con lo scorrere dei minuti. Scenografie e scene d'azione sono di livello eccelso e Merenda, nei panni del commissario corrotto, è convincente. Grande cinema.
Poliziotto colluso con la mala ma non tanto (caffè e sigarette, armi no!) entra in un gioco più grande di lui... Luc Merenda se la batte in fissità con Silva ma è più belloccio e cammina come un modello; per fortuna gli girano intorno i bravi caratteristi del genere e professionisti quali Caprioli e Randone (scandalosamente doppiato); violenza, grandi inseguimenti sui Navigli e soprattutto il pessimismo di fondo caro al regista completano un prodotto divertente e consigliato per gli amanti di Di Leo.
MEMORABILE: I trafficanti portoghesi che parlano spagnolo! L'espressione del protagonista sempre uguale sia con l'amante che davanti a vari cadaveri...
Di Leo ci regala una regia indimenticabile, andando oltre il divino nella prima scena di inseguimento che, per perizia tecnica, non ha nulla da inviadire nemmeno al miglior Friedkin. La storia è coraggiosa (parlare di polizia corrotta in quegli anni non era semplice) e la violenza è bella tosta e funzionale al racconto. Un punto in più per la stratosferica cornice milanese che offre quel pizzico di diversità in più rispetto alla "solita" Roma. Merenda monoespressivo ma adattissimo al personaggio privo di sfumature. Purissimo cinema di regia.
Interessante noir di Di Leo, che si fa perdonare le cadute solite (anche qui conferma di non essere un umorista: si pensi allo sballatissimo personaggio di Ammirata) e quello davvero sorprendenti (i due portoghesi che parlano in spagnolo!). Merito di una regìa saldissima e di un bel cast, condotto con piglio sicuro. Buoni i dialoghi, serrato il montaggio. Belle le ambientazioni milanesi, anche se qua e la è fin troppo chiaro che in realtà si è a Roma.
Melodramma poliziottesco ben costruito e narrato con il solito piglio deciso da Di Leo. L'improbabilità di certe situazioni e la fretta di arrivare all'azione sono equilibrate da sequenze mozzafiato (vedi inseguimento delle auto) e da una violenza decisa, anche se non troppo mostrata. Buona la trama e spietato il finale.
Al di là del soggetto inconsueto del poliziotto corrotto sono il ritmo, il montaggio e la regia a fare la differenza in questo film. Quando lo vidi per la prima volta alcuni anni fa mi colpirono i dialoghi superiori alla media, ora non ci ho neppure fatto caso. Immenso Randone, Merenda non sempre convincente ma ha la faccia giusta, ottimi i comprimari, da Gianni Santuccio (qui questore come in Indagine di Petri) al vice di Merenda Rosario Borelli. Ci sono piccoli momenti paurosi enfatizzati dalle ottime musiche, di notevole effetto.
Che Di Leo non sia Siegel mi è chiaro da un po'. Comunque personale, anche nelle prove migliori ha sempre una cosa fuori posto. Questo film ha un buon finale ma dobbiamo scontare il miscast tra Merenda (troppo bello) figlio di Randone (troppo bravo), Zamuto e Sarchielli ridicoli portoghesi che parlano spagnolo e mancanza di respiro anche nei termini di un piccolo noir. Quello che qui rimane a livello di spunto altri, nella stessa durata, avrebbero detto di più. Comunque non malvagio e con un soggetto in potenza interessante.
MEMORABILE: Di Falco soffoca un gattino nella plastica per puro gusto (scena che io, da amante di gatti, non riesco a vedere).
Non male questo film di Di Leo che presenta un commissario (Merenda) dai due volti, strenuo oppositore della delinquenza e al tempo stesso al soldo di una gang criminale. La scelta degli attori è molto felice, così come valide sono le scene d'azione e la fotografia. Molto intenso il confronto tra il commissario e il padre (uno strepitoso Salvo Randone), antitesi tra nuovo e vecchio, tra disonestà e onestà. Si segnala che il trailer utilizza musiche di Milano calibro 9.
Migliora col tempo, seppur non raggiunge le altezze della grande trilogia: questione di particolari. Di musiche, di volti. Di fortunate coincidenze. L'etica nerissima del regista, però, la si ritrova intatta (e riassunta icasticamente nel fermo immagine finale). Alcune accensioni brutali (l'omicidio della Boccardo, ad esempio), oggi impensabili, valgono il prezzo del biglietto e attenuano i difetti (Caprioli, pur gradevole, indulge nella macchietta e Merenda non convince sino in fondo). Perfetto Conte.
Storia di un poliziotto corrotto che in un secondo momento, quando viene colpito nei suoi affetti, diventa un giustiziere senza pietà. Trattati di un poliziottesco come cento altri, con più o meno le stesse facce, i soliti inseguimenti fra auto e un Luc Merenda straordinariamente mono-espressivo. Finale manicheo e prevedibilissimo. Valido come scacciapensieri.
Nelle intenzioni di Di Leo il film è la sua risposta a Indagine di Petri (da cui provengono Randone e Santuccio) raccontando la corruzione nella polizia in maniera lucida e verosimile. Ne esce un film coraggioso e spietato, che sa "competere" con il successo dei poliziotteschi sul versante spettacolare (l'inseguimento sui navigli è da antologia) ma ne prende definitivamente le distanze sul versante drammatico. Nemo propheta in patria a ogni modo e questo gioiello è rimasto invisibile per 40 anni.
MEMORABILE: Luc Merenda al padre maresciallo: "Quanti soprusi hai compiuto per un panettone a natale? Anche la tua è corruzione, ma da fessi!"
Noir teso, cupo e violento, in pieno stile Di Leo. Nonostante sia inferiore ai suoi prodotti migliori il film mantiene una certa tensione sin dal principio e deve considerasi riuscito grazie alla convincente prova di Luc Merenda nei panni di un commissario corrotto. Due inseguimenti degni di nota, qualche buona sparatoria e un finale raggelante. Buona la prova generale del cast, così come il film.
Rigorosamente parlando, è l'unico poliziesco diretto da Di Leo, che però si smarca coraggiosamente dagli stilemi del genere proponendo un protagonista magari non proprio marcio ma carico di ambiguità e contraddizioni. Copione di qualità superiore alla media (il soggetto è di Sergio Donati), ritmo perfetto, spettacolari inseguimenti, sadici omicidi, cast davvero ben scelto (Santuccio era stato questore anche in Indagine di Petri e non credo sia una coincidenza). Uno dei migliori del regista, anche se la morte del gatto doveva risparmiarmela...
MEMORABILE: Gli omicidi, in particolare quello di Milli; I due inseguimenti automobilistici (soprattutto il primo); Il confronto padre/figlio sulla corruzione.
Il marciume del titolo alla fine copre quasi tutti i personaggi del film, in un un pot-pourri di tradimenti, parole mancate e colpi alle spalle. Di Leo sapeva che sarebbe andato incontro all'ostracismo istituzionale, ma non ha rinunciato a dire la sua fino in fondo, con estrema lucidità, pagando un prezzo forse troppo alto. Ma resta comunque una delle sue prove cinematograficamente meno convincenti, con cadute di stile e dialoghi non esaltanti. Pure il cast, Randone escluso, che non sembra dare il massimo, non aiuta certo il pallinaggio finale.
Il titolo fa tremare i muri per le inconfutabili verità che purtroppo rivela: la corruzione nelle basse sfere di chi dovrebbe tutelare i più deboli, con l'infima meschinità per la salita a una misera carriera e in quelle alte invischiate con i "diamanti" della criminalità. In questo bergonzelliano porco mondo si aggiunge la miopia delle autorità che prendono solo i "pesci piccoli" della delinquenza. Il film è un vaccino-antidoto anti-poliziottesco che demolisce i cliché concettuali e ideologici del genere sulla rettitudine delle forze dell'ordine.
MEMORABILE: Il confronto-scontro Merenda-Randone; La triste morte del napoletano e del suo gatto; Gino Milli travestito e la lotta tra lui e Merenda.
Sui canoni del poliziesco all’italiana, fusi con le atmosfere noir di cui era maestro, Di Leo innesta la figura ambigua di un poliziotto corrotto ma non privo di coscienza, più complesso dei ferrei tutori dell’ordine tipici del genere, un “Malacarne” che non suscita avversione, circondato com'è da personaggi che non sono migliori di lui. Sfruttando una sceneggiatura equilibrata tra azione e dramma, il regista pugliese valorizza al meglio gli attori (in particolare Merenda, Caprioli e Randone).
MEMORABILE: L’inseguimento iniziale; Il cav. Esposito e il suo “gatto napoletano”; Il viscido Gianmaria; Il confronto tra i due Malacarne; Gli omicidi.
Interessante pellicola di genere poliziesco in cui un poliziotto corrotto (interpretato da Merenda) entra in un gioco più grande di lui e ne rimane stritolato. Cast di buon livello, buone musiche e violenza in grande quantità. Seppur risenta di alcune lentezze nella narrazione, ci sono buone scene di azione e ottimi inseguimenti (curati dal famoso Remy Julienne). Anche la regia del bravo Di Leo non delude, seppure non si tratti del suo miglior lavoro. Comunque valido.
Quando il nostro cinema dava parecchi punti a quello straniero (vedi gli inseguimenti in macchina) e quando a girare noir c'erano registi come Di Leo che, in un modo o nell'altro, portavano sempre a casa il risultato. Ottimo poliziesco con un cast uso a questo genere di pellicole. Quello che colpisce positivamente, oltre alla buona confezione, è una bella sceneggiatura di base che tiene sempre lo spettatore sul pezzo. La narrazione è fluida e la regia spigliata. Finale pessimista ed emblematico degno delle migliori pellicole di genere.
Noir di Di Leo (per l'occasione dispensatore di gettoni in un bar) riuscito e avvincente. La storia fila dritta, anche se alcuni dialoghi appaiono un po' artefatti. Il meglio di sé il film lo dà nelle scene d'azione, con due notevoli inseguimenti e l'ultima mezz'ora molto cruenta. In negativo gli inserti "umoristici", con alcune macchiette inutili (su tutti i due portoghesi "italo-spagnoli"). In certi tratti Merenda non rende: complimenti alla flemma durante l'inseguimento!
MEMORABILE: I due inseguimenti (specialmente il primo, lungo il Naviglio); Il finale.
Le opere di Fernando Di Leo hanno sempre qualcosa in più rispetto alle altre dello stesso genere e questa non fa eccezione. Che sia ben girato lo si capisce già dal primo grande inseguimento in auto e poi, man mano che la storia procede, si nota anche il gran lavoro dietro alla sceneggiatura. Randone è perfetto nei panni del padre del protagonista (un Luc Merenda molto ispirato) e Delia Boccardo ammalia nelle vesti della gallerista che non si fa troppe domande. Finale epico che non si può scordare.
Bello e per tanto tempo maledetto (e non ci vuole tanto a capirne il perché); molto probabilmente il film più riuscito di Di Leo dopo Milano calibro 9. La partenza è secca e potente, come da tradizione del regista e la storia torbida e originale rispetto ai prodotti di genere dell'epoca, con scene d'azione ben girate e parti leggere che una volta tanto non stonano. Ispirato il cast, con un Salvo Randone gigantesco e umano come pochi e la solita carrellata di volti cari a Di Leo; da ricordare, per quanto riguarda la colonna sonora, la stupenda "Canzona" dei già noti Osanna.
MEMORABILE: Il durissimo confronto fra padre e figlio nel casolare.
Grande interpretazione per Luc Merenda e grande regia per Fernando Di Leo. L'idea di un poliziotto corrotto che tradisce le aspettative del padre è quanto di più duro si potesse pensare in quegli anni e il tutto è raccontato in modo asciutto, senza fronzoli, con scene d'azione davvero fenomenali. Salvo Randone padre sofferente è la ciliegina sulla torta per un film splendidamente riuscito.
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A me però pare di ricordare questa didascalia anche in italiano, qualcuno sa se appare in altre versioni italiane o fa parte solo della versione americana ?
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DiscussioneGeppo • 11/07/17 22:59 Call center Davinotti - 4285 interventi
Sinceramente non ne sapevo nulla di questa curiosità della didascalia. In effetti non appare nemmeno nella vecchia versione CSC, ho appena controllato. Forse è stata fatta solo per l'edizione americana.
MusicheAlex75 • 25/09/17 17:11 Call center Davinotti - 709 interventi
La colonna sonora recupera alcuni brani di quella di Milano calibro 9, come "Canzona (There will be time)" degli Osanna.
DiscussioneAlex75 • 25/09/17 17:16 Call center Davinotti - 709 interventi
Il Dandi ebbe a dire: Speriamo! Film molto raro, secondo molti (regista compreso) osteggiato perché scomodo. Non conoscevo Fernando Di Leo (purtroppo), ma un'amica che lo intervistò mi disse che nemmeno lui possedeva una versione decente di questa pellicola, solo una copia lavoro.
Credo che sia stato il primo film italiano centrato su una figura di poliziotto corrotto. Un personaggio simile a Malacarne, ma secondario, era stato il poliziotto interpretato da Pambieri in La polizia è al servizio del cittadino?
HomevideoAlex75 • 25/09/17 17:30 Call center Davinotti - 709 interventi
Geppo ebbe a dire: Che poi tra l'altro la VHS Silma del POLIZIOTTO È MARCIO è tagliata. Dura soltanto 80 minuti.
Sì. Avevano fatto dei tagli davvero insensati, che tolgono molto al film (senza contare che la qualità dell'immagine era pessima). Ho apprezzato molto il restauro del lavoro di Fernando Di Leo, riportato alla sua lunghezza originale.
CuriositàZender • 8/02/18 18:00 Capo scrivano - 47787 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film: