Giovane intellettuale e aristocratico decaduto s'invaghisce di un'attricetta a dir poco volubile... Dal bel romanzo di "Ercolino" Patti un buon film, sceneggiato da Flaiano, forse non troppo nelle corde di Risi, che orchestra bene ma senza graffiare. Interpreti adatti (e ben doppiati - i protagonisti stranieri), bella fotografia e ancora una volta la nostalgica fragranza di un'epoca e di una Roma perdute. Divertente apparizione di De Sica nei panni di se stesso
Il film pone allo spettatore la fatale domanda: "ma che ci trova il protagonista in una attricetta carina ma insomma, superficiale, frivola, traditrice per natura, quasi involontariamente crudele, priva di scrupoli e di sensibilità? Chi glielo fa fare di soffrire così?" Probabilmente la risposta è nel titolo. Il film racconta l'amore, nella sua declinazione irrazionale e incomprensibile, quasi fino al masochismo. Il tema è un classico senza tempo, ed è svolto con sensibilità e senza fronzoli. Gran bel film.
Adattamento dell’omonimo romanzo di Patti, al quale Risi e Flaiano (sceneggiatore) apportano poche variazioni: inventano il personaggio dell’ex amante e amica innamorata Fulvia (Martinelli) e optano per una conclusione drastica e definitiva, rendendo giustizia a Baldwin, romantico babbeo infatuato dell’incostante, sciocca e fedifraga Demongeot. Per il resto i vari episodi sono rispettati, e così pure la descrizione delle strade e degli ambienti romani. Tra gli amanti dell’attricetta sfila pure un giovane Orsini.
Legge del contrappasso per un giovanotto incapace di innamorarsi: finalmente ci casca, ma con un'attricetta che passa di letto in letto. Commedia sentimentale molto concentrata sulle schermaglie amorose dei due, con un tentativo di approfondimento psicologico che però sembra non troppo riuscito. Rimane tutto un po' superficiale e pretestuoso (non mancano incongruenze logiche), anche se il film è sicuramente ben fatto e si fa vedere con piacere. Da segnalare un autoironico cameo di De Sica.
Cast super-internazionale (per l'Italia sugli scudi una bellissima Martinelli) per un buon film, condotto con professionismo da Risi, dall'inizio al notevole finale. Ottime interpretazioni (e ottimi doppiaggi) fanno passare in secondo piano alcune forzature (come le troppe coincidenze) della trama di Patti (che appare per pochi secondi alla mostra d'arte). La Demongeot, in edizione pre-Fantomas, è già deliziosa.
MEMORABILE: Alcuni tocchi verosimili: la domestica che inforca gli occhiali per vedere la ragazza e i quattro delle pompe funebri sorpresi in un momento di relax.
Sceneggiato da Flaiano il film narra l'amore difficile tra un nobile spiantato ed un'attricetta antesignana delle attuali veline. Contrasti psicologici e difficoltà nell'esprimere i reali sentimenti mettono più a volte a rischio la durata le rapporto. Discrete le ambientazioni.
Diretto da Risi e sceneggiato da Flaiano, è tratto da un romanzo di Ercole Patti. Il film si limita alla rappresentazione della vicenda senza approfondire molto le caratteristiche dei personaggi e alla lunga la sceneggiatura appare pretestuosa e ripetitiva, anche perché il ritmo non è irresistibile. Ben assortito il cast, con presenze italiane ed internazionali per un opera che promette più di quello che mantiene.
Non ho letto il romanzo ma il film narra una storia d'amore un po' troppo semplice, senza qualche guizzo che avrebbe elevato il film (e il mio pallinaggio). Risi dirige benissimo quel che vediamo, solo qualche ingenuità nella sceneggiatura (Anna che si fa riaccompagnare proprio sotto casa...); gran bel bianco e nero e ottima fotografia completano il tutto. Deliziosa la Demongeot (molto coinvolgente nello spettatore maschile la sua trasformazione). Il finale nel teatro rende davvero bene.
Un film notevole. Risi affronta i temi del disagio esistenziale, dell’aridità morale e dell’incomunicabilità, allora di moda, affidandosi alla fluidità della narrazione, a un ritmo sostenuto, alla concretezza psicologica dei personaggi, alla limpidezza dello stile, alla sontuosità della confezione e a dialoghi deliziosamente letterari e quasi anacronistici e non, certamente, come Antonioni, alla dilatazione temporale, alla rarefazione drammaturgica e alla geometria alienante delle scenografie. I risultati artistici sono altrettanto efficaci e convincenti. Brave la Martinelli e l'elegante Perschy.
MEMORABILE: L'incipit ambientato su Scala Trinità Dei Monti e l'ultima scena a Piazzale Appio producono grandi emozioni.
Un nobilotto gaudente si innamora di un'attricetta e mal gliene incoglie. Dino Risi fa il suo lavoro in modo impeccabile, pur scegliendo un tipo di film che non era nelle sue corde ma di tipo intellettualmente impegnato (c'è pure di mezzo "l'incomunicabilità", un tema che avrebbe preso in giro nel film, certamente più divertente, Il sorpasso). La vicenda però è raccontata in modo un po' ripetitivo e il cammino verso un amaro epilogo, che si sente, non è alleviato dall'ironia, se non per qualche breve momento.
C'è sempre una venatura psicologica sottile nei film del Maestro che, indipendentemente dal soggetto, riesce semmpre a descrivere, proporre i sentimenti in modo raffinato e reale. Anche questo amore non fa eccezione; anzi, Risi sviscera il "ti amo" che, come ebbe a scrivere nel suo "I miei mostri", è un'espressione che ha sempre trovato assurda, da teatro di bassa lega. Di classe la Martinelli, perfetta nella parte la Demongeot, ottime le musiche. E come tutti i film del periodo, guardando a com'erano le città, scopriamo quanto abbiamo perso.
Notevole radiografia dei sentimenti in una Italia in pieno boom economico. Scorre fluidamente sino al superbo finale. Regia asciutta ed essenziale, voce fuori campo quasi mai didascalica (sorta di riflessione di un narratore onnisciente), bianco e nero da cinema dei tempi aurei. Esempio di cinema italiano da antologia.
Il lato morboso dell’amore che si accanisce su se stesso trasformandosi in qualcosa di perverso al limite dell’ineluttabilità. Una breve sintesi che racchiude l’idea di base del soggetto a cui Risi, però, non riesce a dare linfa vitale e personalità da vendere. Baldwin non lo aiuta essendo eccessivamente ingessato e privo di un carisma trascinante. Qualche minuto in meno avrebbe aiutato a sentire meno la noia, mentre sullo sfondo resta impressa una Roma che rappresenta ormai soltanto un pallido e sbiadito ricordo. Intenso il finale.
Buon lavoro di Risi alle prese con un tema molto sfruttato da sempre in ogni forma d'arte. L'uomo di rango sociale elevato viene irretito e rovinato da una ragazza superficiale e senza scrupoli. La narrazione scorre via liscia grazie alla sceneggiatura di Flajano e non mancano situazioni divertenti pur nella drammaticità della vicenda. Ottimo il cast.
Al centro di tutto un giovane appartenente a una nobile famiglia decaduta e le sue perplessità nei confronti della vita e dell'amore. Lo sguardo crucciato e l'atteggiamento di assenza non si staccano mai dalle sue varie storie che sono una sperimentazione continua, senza sosta. La "dolce vita" ha qui tangenzialmente modo di mostrare i cambiamenti di un'Italia in evoluzione, concentrandosi piuttosto su una storia che va in più direzioni. Senza approfondimenti "politici", se non apparentemente.
Aristocratico spiantato non riesce a innamorarsi seriamente, ma quando accade è di un'attricetta di facili costumi che non renderà le cose facili. Né commedia né dramma, la storia procede rapida e pacata sul filo del non detto. Nessun colpo di scena né approfondimento particolare di personaggi o vicende, tuttavia con garbo ciò che rimane in superficie si riveste di sottesa poeticità. Discreto film quasi "manifesto" di passaggio dal neorealismo anni '50 alla trasgressione anni '60. Da rivalutare!
Una sceneggiatura di diamante firmata da Flaiano con Ercole Patti, esemplificabile nello scambio: "Perché non hai risposto alle mie lettere?". "Erano troppo belle, mi mettevano soggezione". Sotto il bel titolo secco patisce il cuore in fiamme di Peter Baldwin, che forgia benissimo il contrappasso di Marcello Cenni: inafferrabile donnaiolo vittima di una donna che non si lascia afferrare. Ben scelte le attrici: la Demongeot bamboleggia, Elsa Martinelli incassa i colpi con eleganza. Tagliente la fotografia di Montuori. Un gran Risi drammatico dopo tanta commedia.
Tra i film meno ricordati del regista meneghino, merita una riscoperta. Ennio Flaiano, in sceneggiatura, adatta un romanzo di Ercole Patti. C'è molto Federico Fellini, nella messinscena; la Roma del film ha un'aria decadente. Meravigliose, infatti, le riprese notturne. Anche il protagonista, che non a caso si chiama Marcello (come il Mastroianni de La dolce vita), è un uomo disincantato, che però, vorrebbe trovare una via d'uscita dalla sua monotonia quotidiana. Ci proverà attraverso Anna, un'attricetta, anche lei in cerca di una guida. Interessante.
Un'attricetta e un conte si frequentano anelando la libertà. La trama sembra banale: i tiramolla amorosi tra una civetta e un annoiato che non vuole impegnarsi hanno ovviamente basi fragili. Il film è girato comunque bene e restituisce l'aria di disincanto dei primi Anni Sessanta, senza mostrarne la decadenza come Fellini saprà fare. Anche la deriva della gelosia del protagonista è descritta come un percorso che sembra farsesco ma è tremendamente umano. La Martinelli ha una marcia in più, rispetto al resto del cast.
MEMORABILE: Orsini che ordina una bottiglia di Cinzano; La Martinelli che non si dà pace; Il cameo di De Sica come regista.
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ma qualcuno di voi ha idea di dove sia la casa della protagonista di "Un amore a Roma" di Dino Risi?
Non la prima che è di certo a piazza del grillo, ma quella più avanti nel film, in cui entra un giovanissimo Umberto Orsini e dove c'è la scenata che Marcello fa ad Anna Padoan. Nel film davanti al portone c'è un bar. Purtroppo non riesco a postare immagini, provo più tardi.
grazie
Certo che il neorealista De Sica che dirige un peplum è alquanto improbabile. Mi ricordo (ricerche di quando scrissi il libro sui film della serie "Don Camillo") le storie che fece per "non" dirigere il primo Don Camillo come voleva fargli fare Rizzoli, col suo solito atteggiamento ricattatorio, perché in quel periodo De Sica voleva invece fare Umberto D, come in effetti poi fece! Però, a ben pensarci questo cammeo nel presente film potrebbe anche essere una (affettuosa?) presa per i fondelli di Risi, tipo "Eeh, De Sica, per fare soldi per andarseli a giocare al casinò, dirigerebbe anche un peplum!"
R.f.e. ebbe a dire: Però, a ben pensarci questo cammeo nel presente film potrebbe anche essere una (affettuosa?) presa per i fondelli di Risi, tipo "Eeh, De Sica, per fare soldi per andarseli a giocare al casinò, dirigerebbe anche un peplum!"
Oppure può essere vero che De Sica accettò la parte proprio per quello!