La danese Susanne Bier affronta il difficile tema della perdita con grande sensibilità, riuscendo a emozionare e commuovere senza ricorrere a stucchevoli stratagemmi strappalacrime. Il tema è impegnativo, ma il film è coinvolgente, molto intenso, grazie anche alla SUBLIME interpretazione di Del Toro (potrei rivedere subito il film solo per lui). A me ha emozionato molto e mi ha offerto spunti di riflessione sulla vita mia e delle persone che mi sono vicine, cosa che purtroppo non avviene di frequente ultimamente al cinema.
Film molto intenso della regista danese Susanne Bier (pessimo il titolo italiano. L'originale molto migliore è Things we lost in the fire e si riferisce ad un incendio scoppiato nella casa dei coniugi prima della morte del marito), che affronta i temi non originalissimi dell'elaborazione del lutto e di intensi dolori ma senza ricorrere al facile effetto lacrimevole ma con lavoro retrospettivo che coinvolge interamente la sfera sentimentale dell'individuo. Valido il cast con una bella prova di Hale Berry e sopratutto di Benicio del Toro
Appassionato e convincente dramma intimo e sottilmente sentimentale, sulla dipendenza e la forza psicologica delle abitudini, dei gesti, dei sentimenti, delle sensazioni. Ottima regia di Bier, concentrata sulle pieghe e i dettagli, a scavare in uno script che, al di là della finezza psicologica, resta un po' inerte. Halle Berry batte i manierismi gigioni di Del Toro.
MEMORABILE: Il momento in cui si mettono a letto, la gamba, l'orecchio.
L'ispezionare chirurgicamente volti e corpi per rilanciare il senso del lutto e della sua quasi impossibile elaborazione al netto di ogni mutuo soccorso è il miglior jolly non dichiarato dell'insieme. La sopraffina prova di Del Toro, che prende per le corna il tragos del personaggio chiamato ad accorpare, è il miglior jolly dichiarato. Purtroppo manca il jolly che poteva chiudere la mano, e al film non resta che adagiare tutta la seconda parte su una cifra melo a tratti invalidante. Da doccia di benzina e zippo contro, invece, il titolo italiano affibbiatogli.
Rimasta improvvisamente vedova, una giovane donna scopre che il migliore amico del marito, da lei detestato in quanto tossicodipendente, conosceva del morto molte cose che lei stessa ignorava. Lentamente la gelosia e la diffidenza lasceranno il posto alla comprensione e all'aiuto reciproco, necessario a lui per liberarsi dal vizio ed a lei per ricominciare a vivere. Un buon film, non particolarmente originale ma interpretato con intensità, soprattutto da parte di Del Toro. Fuorviante il titolo italiano.
MEMORABILE: Jerry spiega le sensazioni che ha provato la prima volta che si è drogato
La Bier, alla sua prima trasferta americana, si conferma regista molto solida: anche qui la storia raccontata non è un inno all'originalità, ma la danese asciuga il racconto rendendolo (non sempre) scevro da sentimentalismi e retorici tuffi nel patetico riuscendo così a coinvolgere lo spettatore senza fuochi artificiali ma sfruttando appieno gli attori che ha a disposizione e l'universalità della vicenda narrata. A farla da padrone è un Del Toro che centra un'interpretazione molto sentita e intensa, spalleggiato da una brava Berry.
Il lutto e la droga: due piaghe terribili che avvicinano le rispettive vittime e vengono da queste sconfitte tramite la mutua comprensione. Dramma intenso, sofferto e concreto, sostenuto dalla regia minuziosamente calibrata della Bier - nessuna spettacolarizzazione, solo uno sguardo carico di pietas e affetto nei confronti dell'animo umano in pena - e dalla figura dolente di un grandissimo Benicio Del Toro. Molto bene anche Halle Berry e Alison Lohman.
MEMORABILE: La sofferenza psicofisica di del Toro sotto gli effetti dell'eroina; il pianto e la rabbia della Berry.
Si gioca con i particolari, visivi e della storia e si gioca bene. Sono proprio i particolari (come spesso succede e lo sa bene chi indaga) a dare l'esatta visione di una vicenda, a far capire a fondo i personaggi e a trovare, dove possibile, una soluzione. La Bier sfrutta bene una sceneggiatura che usa i particolari (ma anche i bambini) per arrivare a un finale che non conclude ma che soddisfa e lascia porte aperte a tutte le positività che, di diritto, dovrebbero seguire le negatività vissute. Il tutto facilitato da bellezza e ricchezza.
Un tossicodipendente perde il suo migliore amico ma trova supporto nella moglie di lui. La prova di Susanne Bier è tecnicamente valida e tematicamente impegnativa. Dirige con attenzione e gusto del particolare una storia intricata che non manca di momenti intensi e a volte forti, che sottintendono una morale evolutiva sul concetto di rielaborazione e rinascita. La tristezza della vicenda aiuta a comporre l'amaro quadro emotivo dei protagonisti.
Giovane vedova ospiterà in casa il migliore amico del defunto marito. I temi sono lo scavo del dolore, la perdita improvvisa e l'elaborazione del lutto per una controversa Berry (solidale, egoista e di nuovo comprensiva). Meglio il ruolo di Del Toro, tranne quando lo fanno disintossicare coi bambini in giro per casa. Regia curata che si scontra con qualche accenno retorico con il gruppo di sostegno.
MEMORABILE: Del Toro che canta sotto la doccia Lou Reed; Nel quartiere dei tossici; La corsetta col vicino di casa.
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