Reservation Road - Film (2007)

Presentato alla prima Festa del cinema di Roma, nel 2007, è uscito nelle sale solo l'anno dopo. Eppure dietro la m.d.p. c'è il regista di Hotel Rwanda, mentre davanti figurano attori del calibro di Phoenix, la Connelly, Ruffalo. Il tema delle vittime dei pirati della strada rischia di essere trattato in modo rezionario, à la Bronson, ma il lodevole tentativo di George di evitare il manicheismo, si scontra con eccessi melò da romanzo d'appendice (quante, troppe coincidenze). Comunque, buono per una visione con dibattito a seguire.

Esistenze parallele di due padri di famiglia che s'incrociano disastrosamente su una strada maledetta asfaltata di intenzioni alte e bassi risultati. Dall'autore di un film impegnato e storicamente indennizzante come Hotel Rwanda ci si aspettava un qualcosa di meglio che un confronto maschile al tavolo delle coincidenze e delle ovvietà. George interroga dall'alto i due protagonisti sulle responsabilità del ruolo paterno e sui dilemmi morali dell'onestà e della colpevolezza, ma lo fa quasi sempre con mezzi retoricamente banali, senza nemmeno produrre quel trait d'union chimico-emotivo con lo spettatore. Insoddisfacente.

Lo strazio del padre di un bambino ucciso da un pirata della strada, e l’angosciata paura di quest’ultimo, anch’egli padre. Non ci si aspettino grandi idee da un lavoro che è prima di tutto sentito col cuore e pensato con un intento civile, quello di denunciare la tragedia degli incidenti “hit and run” senza colpevole. George racconta bene e con sobria tensione le due facce della medaglie, indagando il concetto di responsabilità, evitando le banalità alla “giustiziere” e chiamando in causa lo spettatore nel trovare una sintesi giusta.

Un fatto di tragica attualità – le persone investite dai pirati della strada – è reso improbabile dalle troppe coincidenze e forzature che lo trasferiscono dal piano della cronaca a quello della fiction pura, quantunque il dolore dei due padri sia acutamente penetrante: la rabbia cieca di Joaquin Phoenix – simile a quella del Clive Owen di Trust tre anni dopo – e la paura e il rimorso che solcano il volto di Mark Ruffalo. Accessoria Jennifer Connelly.

Un ragazzino morto sul ciglio della strada, l'investitore che si allontana senza fermarsi, il dolore dei genitori per una perdita irrimediabile, la consapevolezza dei limiti della giustizia in questi casi... Lo spunto è tragicamente banale, un fatto come tanti che si leggono tutti i giorni sui giornali, lo svolgimento incentrato sui due antagonisti, entrambi dilaniati - uno dal dolore e dalla voglia di vendetta, l'altro dal senso di colpa - ma la vicenda è inficiata da troppe coincidenze che ne minano la credibilità. Buona la prova del cast, ma resta una sensazione di incompiutezza.

Buon film e ottime interpretazioni. Fra tutti si distingue senz'altro Mark Ruffalo, in cui inevitabilmente lo spettatore tende a immedesimarsi. La storia è molto semplice, quello che invece non lo è affatto è venire a patti con la propria coscienza di fronte alla responsabilità d'un omicidio colposo. Dopo l'ottimo Hotel Rwanda non era facile ripetersi e invece Terry George confeziona un altro lavoro davvero interessante, non consegnando al pubblico facili risposte ma, piuttosto, i mezzi per procurarsele.

La messinscena non è poi così male e gli attori trovano il loro posto, anche se difficilmente per ognuno di loro questo film rientrerà nella top ten delle loro performance. Fra di essi forse un gradino sopra Ruffalo. Si apprezza di più la parte iniziale e da un punto di vista delle concatenazioni narrative soffre parecchio perché le due coincidenze messe in atto (non solo la scelta dell'avvocato ma anche l'incrocio ex moglie-maestra della sorellina) rasentano la probabilità della vincita alla lotteria. Ritmo riflessivo che non stona quasi mai.