“Panni sporchi” è un film-inchiesta, fatto d’interviste e racconti di vita quotidiana, con storie di tossicodipendenza, di vite disperate, di gioventù senza ideali, di prostituzione, di fallimenti e conseguenti inutili rivalse su un mondo che non ascolta i deboli; il tutto su uno sfondo di una sporca e maleodorante stazione centrale di Milano datata 1980. Un pugno allo stomaco: questo documentario shock, a mio avviso, risulta molto efficace e veritiero.
Alla stazione centrale di Milano, di notte, con barboni, prostitute, drogati. Straordinaria "presa diretta" su una umanità rimossa, che abita - in orari e modi diversi dai nostri - uno dei gangli vitali del nostro sistema economico e sociale. Bertolucci ci fa calare in un mondo sconosciuto, sbattendocelo in faccia senza retorica né pietismi. Potenti i volti, le voci, le parole di chi non ha volto, voce o diritto di parola. Il senso di disagio che ci coglie durante e dopo il film è grande: e significa che il film ha colpito giusto.
Non solo diseredati o emarginati, ma anche lavoratori meridionali che esprimono a fondo il loro punto di vista molto interessante sui motivi della disoccupazione e dell'assenteismo, oltre che della migrazione al nord. Altri hanno avuto grosse sventure delle quali hanno fatto tesoro per una vita migliore (vedi ragazze madri, donne separate e bisessuali per scelta o per curiosità). Solo chi si è attaccato alle solite schifezze ormai note o chi ha mollato la pezza non avrà scampo. Un po' pesantino da seguire, specie per i dialetti, ma consigliata la visione.
...una Milano da bere? La stazione meneghina fotografata come bolla tunnel girone ora purgatoriale ora infernale -ma sempre con quel che retroattivo di puro e paradisiaco- di un'umanità pittoresca e degenerata suo malgrado, che costituisce la materia fecale del capitalismo e la messa in pratica del fallimento assoluto del socialismo reale (il "trafiletto" visivo dedicato a Marx è l'unica panoramica -con l'umano acutamente fuoricampo- sulla Milano bene o piccolo borghese al di fuori della stazione) e la dark side di un'italia ben poco faber, che mette in discussione ogni tentazione patriottica.
Le interviste nell'oscuro teatro ferroviario riprendono bambini, adolescenti, operai, bizzarri pendolari per arrivare alle storie drammatiche di tossicodipendenti, alcolizzati, prostitute, barboni, ragazze madri. Vengono lasciati parlare a ruota libera, le domande sono molto schematiche, a tema e concise e danno la possibilità all'intervistato di lasciarsi andare a livello emozionale. Affiorano così l'arretratezza, la discriminazione sociale e le disuguaglianze, ma anche l'umanità vera, con il desidero utopistico della caduta di ogni muro ideologico.
MEMORABILE: I rifiuti leit-motiv simbolico e la metafora di Pinocchio impiccato associato al clochard; La ragazza eroinomane.
In grande anticipo sui tempi rispetto alle varie forme di docufilm che andranno di moda anni dopo, Panni sporchi si presenta come un'"inchiesta", ma è in realtà un'affettuosa sbirciata alla fauna umana del sottobosco della stazione di Milano Centrale, una testimonianza a volte confusa, a volte toccante, ma mai moralista o giudicante. Più di una volta si ha la sensazione che il confine tra documentario e fiction venga surrettiziamente ignorato (gli abusati carrelloni bertolucciani o certe sequenze particolarmente costruite), però questo nulla toglie all'efficacia dell'operazione.
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No, mi dispiace... Ho dato adesso una rapida occhiata in internet e vedo che c'è disponibile il torrent di TNT: è forse quella che hai anche tu? Altrimenti non saprei ora dove recuperarla.
non mi ha inquietato né angosciato, ma è certamente molto forte e altrettanto curiosa la stazione di milano vista come bolla tunnel girone ora purgatoriale ora infernale -ma sempre con quel che di puro e paradisiaco- di un'umanità che costitusce la materia fecale del capitalismo e il fallimento assoluto del socialismo reale (il "trafiletto" visivo dedicato a marx è l'unica panoramica sulla milano bene o piccolo borghese al di fuori della stazione) e la dark side di un'italia ben poco faber
mi domando quanti di questi attori non professionisti della vita (il cast volendo è aggiornabile, sono tutti nominati negli end-credits) siano ancora in vita. chi si è salvato, chi da quella stazione non ne è mai fuoriuscito, chi ancora la bazzica.
tutto sommato, è preferibile vederlo sul vecchissimo passaggio raitre, sporco, corrotto, invecchiato, malandato come il moribondo -e al contempo vitalissimo- microcosmo che rappresenta.
Un film che ha ancora il suo fascino malgrado gli anni passati e i ritmi un po' lenti. Ho trovato un po' forzati i dialoghi dei giovani, in quanto si vede che il regista li incitò a conversare tra loro per arrivare a un minutaggio decente e forse ad esporre dei concetti legati al loro mondo, con il risultato che alcune conversazioni risultano stucchevoli. Molto più sincere e dunque più convincenti invece le esternazioni di matti, drogati e barboni. La stazione centrale di Milano oggi è molto cambiata e più pulita di un tempo.
sì ho avuto anch'io fin da subito l'impressione che alcuni momenti fossero staged (compreso il primo con il beone che trova oggetti ben precisi nel cestino attorno ai quali soliloquiare), la voice over del regista (quasi identica a quella di romano battaglia) me l'ha quasi fatto sembrare un cinico-tv meno grottesco e più serio. ma vi sono anche, quale contrappeso, molti momenti di sconcertante o buffissima spontaneità.
di fondo resta comunque incredibile non tanto l'impressione di un universo altro, quanto che questa altera casba di reietti si raccolga proprio come accoglienza di una milano invece asettica e per bene (come mostrata nel segmento marx).
Mi dispiace, ma non lo ricordo bene. L'ho visto tanto ma tanto tempo fa e quello che ricordo sono più che altro le sensazioni che ho provato: in effetti sarei curioso di rivederlo, chissà che effetto fa oggi...
Sul fatto che non sia una presa diretta "pura", ma che ci siano momenti costruiti, non mi sembra che sia un gran problema, soprattutto se poi tutto ciò è funzionale all'opera nel suo complesso. Se penso agli pseudo-documentari del Maestro del docufilm, cioè Flaherty, non mi sconvolgono gli artifici. Anche perché un documentario è sempre un'opera di narrazione, e perciò una sorta di fiction... Il punto, per un documentario, non è la spontaneità o l'oggettività, ma è andare a segno raccontando schegge del reale. E questo mi sembra ci riesca molto bene. Anche perché trasforma mitopoieticamente il non-luogo della stazione, e i suoi abitatori li fa diventare personaggi...