L'abuso di potere è il più tipico degli errori in cui incorrono tutti i commissari dalla mano pesante che hanno popolato i nostri polizieschi del periodo d'oro, i quali pensano come noto che l’incarceramento di un killer sia più importante del rispetto alla lettera della legge; e ogni volta vengono ripresi, puniti, diffidati dal proseguire sulla stessa strada... Il film di Camillo Bazzoni non è un'eccezione, e anzi segue senza grandi novità la strada tracciata dai contemporanei. Esce però nel 1972, lo stesso anno di LA POLIZIA RINGRAZIA, quando il filone non era stato ancora del...Leggi tutto tutto codificato, e prepara il terreno alle storiche performance di Nero e Castellari. Frederick Stafford (l’agente OSS 117 visto in una serie di spionistici d'oltralpe) è il commissario Miceli, richiamato dalle vacanze forzate per indagare sull'omicidio di un giornalista d'assalto (Umberto Orsini). Il commissario di nuova nomina (Franco Fabrizi) ha dimostrato più savoir-faire ma non conclude molto, e così ecco il ritorno di Miceli, che subito schiaffeggia, esagera ma qualcosa conclude. La storia (scritta dalla coppia Massimo Felisatti/Fabio Pittorru), che tocca in parte anche ambienti mafiosi, è condotta in puro stile poliziesco, con interrogatori, inseguimenti in Alfa, perquisizioni, un pizzico di sesso (con Marilù Tolo) e brevi sprazzi della vita privata, travagliata, di Miceli (c'è in ballo la separazione dalla moglie). Bazzoni punta più al realismo che alla spettacolarità e va detto che tutto il cast lo asseconda bene in questo. Così il film, che pure non fa certo gridare al miracolo, si inserisce di diritto tra i tanti polizieschi senza infamia e senza lode che costituiranno la quintessenza del genere in Italia.
Buon poliziesco di stampo mafioso diretto da Camillo Bazzoni. Forse il suo limite maggiore è il protagonista, Stafford infatti era davvero legnoso a mio avviso; ma il resto del cast per fortuna rende alla grande, da Elio Zamuto al solito, grande Corrado Gaipa. Per essere onesti il tema dei potenti che non si possono toccare con le inchieste non è sceneggiato con particolare originalità, ma l'intreccio procede con buon ritmo e le caratterizzazioni dei personaggi secondari fanno il resto. Telefonato -in tutti i sensi- il finale.
In bilico tra mafia-movie e poliziesco, il film, pur non essendo molto originale, risulta abbastanza godibile per tutta la sua durata grazie ad un discreto ritmo. Cast eterogeneo ed interessante. Simpatico a patto di non aspettarsi nulla di nuovo e di particolare.
Vera e propria summa di tutti i luoghi comuni del filone poliziesco/mafioso con una sfarinatura di impegno "civile" venato di pessimismo (la mafia ha sempre e comunque la meglio) inaugurato anni prima da Damiani. Il tutto aggravato da una regia piatta, dalla scarsa credibilità della trama e dei personaggi, nonchè dall'immancabile manfrina sulla solitudine, le amarezze e i drammi privati del poliziotto. Stafford fa cascare tutto il cascabile, tutto il contrario della splendida Marilù Tolo cui viene però affibbiato un ruolo abbastanza insulso.
L'ostinata indagine di un coriaceo commissario si scontra con i poteri forti e le ingerenze mafiose. Nonostante la trama non mostri segni di originalità si osserva un discreto sviluppo narrativo, anche se il protagonista non brilli per espressività. Finale tendenzialmente scontato.
Non posso dare un gran voto a questo film di Bazzoni, anche se il protagonista per me è quasi un idolo, visto che non accetta il brodo d'oca della soluzione di comodo. Ok l'ambientazione e buona la recitazione, ma il film non decolla, è molto limitato come spaziatura di trama e non straripando non riesce neanche a coinvolgere più di tanto lo spettatore. Ci dice solo una volta di più come sia inutile far gli eroi. Brava anche la Tolo.
MEMORABILE: La scena dell'esecuzione in cabina è molto reale ed è una delle migliori nel suo genere.
Trait d’union fra il film di mafia alla Damiani e i futuri polizieschi dei vari Lenzi, Castellari, Martino e Massi, proprio nella sua natura meticcia accusa debolezze, non avendo lo spessore politico-civile del primo né la carica dei secondi, pur preparandone i percorsi d’azione tra interrogatori all’americana, prostitute, bische, pestaggi, inseguimenti in auto e drammatici epiloghi. La squadra di attori è di lusso ma mal sfruttata e Strafford, rivisto con gli occhi di oggi, si perde nella selva di commissari di ferro post-Callaghan del cinema italiano. Acquoso.
MEMORABILE: L’esecuzione di Orsini; i metodi poco ortodossi (ma assai persuasivi) cui ricorre Strafford per far parlare i malviventi.
Molto opaco, troppo "nelle righe"... insomma: noioso! Il Commissario Miceli è troppo timido e scialbo, poco credibile come ribelle, va bene essere una vittima designata, ma almeno, prima, dai fuoco alle polveri e vendi cara la pelle! Non solo: manca un antagonista forte e ben caratterizzato, la denuncia della debolezza del sistema giudiziario e della collusione mafia-poteri forti è troppo generica e troppo poco circostanziata per essere efficace. Poca azione, poi, a parte l'inseguimento e lo scontro nel pre-finale. Deboluccio.
MEMORABILE: L'imboscata e l'esecuzione del giornalista. Il cameo di Ninetto Davoli, "picciotto", sì, ma dall'accento ostinatamente romano... boh!
Film che ci lascia un messaggio non certo di basso profilo con un finale previsto ma allo stesso tempo giusto. Regia, fotografia e musiche di buonissimo livello; la sceneggiatura segue le vie del giallo e il film è un buon prodotto. Cast maschile notevole, il protagonista Stafford fisicamente imponente (un Fabio Testi più anziano) qualche volta è un po' legnoso ma non sfigura.
Poliziesco di una certa raffinatezza grafica nella cui struttura Bazzoni tenta di connettere le crude spinte pragmatiche della new wave action d'oltreoceano e gli intrighi di potere intraistituzionali caratteristici del giallo "politico" nostrano (un sottobosco di usura, traffico di stupefacenti e bische clandestine che sembra tirarsi dentro anche questori e procuratori). Nonostante i connotati poco italiani, Stafford preannuncia alla grande la florida stagione tricolore dei commissari di ferro alla Nero/Merli. L'ambientazione siciliana resta appena che folcloristica, secondaria e di maniera.
MEMORABILE: L'interrogatorio a suon di ceffoni a cui viene sottoposto Giudo Leontini; L'inseguimento in auto sui tornanti costieri.
La figura del commissario duro e malinconico diventerà un vero e proprio dogma, ma qui siamo ancora più dalle parti del film di denuncia alla Damiani (con spruzzatina di giallo) che del poliziesco tout court. La costruzione è buona, l'incipit addirittura ottimo, ma il finale un po' delude; non tanto per il suo prevedibile pessimismo, ma perché giunge quasi per inerzia. Ottimo cast, anche se i vari Fabrizi, Orsini, Gora e Gaipa appaiono sprecati in ruoli tutto sommato secondari. Belle la fotografia di Claudio Ragona e le musiche di Ortolani.
MEMORABILE: L'iniziale riunione tra gli inquirenti; L'ultimo colloquio tra Stafford e il questore.
Film che tratta di ambiente mafioso con caratteristiche da poliziottesco. La figura del commissario piantagrane è ricorrente nei film dell’epoca; questo fa particolarmente pena, essendo non soltanto solo e rabbioso (come Merli) ma anche disilluso e rassegnato. Il suo isolamento è accentuato dal fallimentare esito della vita privata e viene lasciato, nel prosieguo del film, sempre più esposto, anche da chi lo ha richiamato per coinvolgerlo. Resta la sensazione di un film discreto e, pur nella tristezza dei temi, abbastanza godibile. Buona prova, al solito, di Leontini.
Cultissimo e raro noir di Bazzoni guidato da un eccellente e crepuscolare Stafford, commissario di polizia alla "Luc Merenda", contornato da ottimi attori e altrettanto bravi stunt-men. Belle location e un finale amaro e ben girato, difficile da dimenticare. Cult movie.
Nihil sub sole novum, ma il film si lascia guardare con piacere. Stafford fa il dovuto come funzionario integerrimo, manesco e rompiscatole; e il resto del cast, di solidi caratteristi, si adegua a una storia di mafia e potere già vista mille volte. Gli snodi drammaturgici, così come il finale, non recano sussulti; tuttavia l'eroe che, nella sua purezza, è vittima di una ragnatela di inganni e omertà, ravviva sempre la nostra empatica partecipazione.
Discreto poliziesco all'italiana mescolato al film d'inchiesta. Il protagonista, dall'espressione granitica, è uno dei primi prototipi di commissario di ferro alla Maurizio Merli (siamo nel '72 e il genere non è ancora affermato). L'intera vicenda è raccontata con mestiere e, seppur non si eccella come ritmo, si nota una certa cura nella regia, ma è pur sempre un film a basso costo, quindi non ci si può aspettare granché. Da vedere.
Bazzoni importa con mestiere la figura del poliziotto alla "Dirty Harry" poco avvezzo alla disciplina e la consegna in eredità ai professionisti del poliziottesco che stavano già scaldando i motori. La storia di mafia ha obiettivi piuttosto generici ma si segue senza mal di testa, anche se a Stafford manca il carisma degli emuli più famosi, tanto che rimangono più impresse le figure dei "cattivi". Discreta la regia che si muove bene fra intrighi e qualche momento action non disprezzabile. Non altissimo il ritmo ma il film riesce comunque a guadagnarsi una risicata sufficienza.
Ultimo film diretto da Bazzoni, regista poco prolifico, un'opera fortemente debitrice dei recenti lavori di Damiani, per temi, scelta degli attori, ambientazioni; topoi che ritorneranno poi nell'ondata di poliziotteschi che stava per abbattersi sul cinema nostrano. Il film è scorrevole e, vero punto di forza, zeppo di facce note dell'epoca. Paradossalmente, quella meno convincente è del protagonista Stafford: ci fosse stato Franco Nero sarebbe stata un'altra cosa. Il finale si indovina già in anticipo, e pure l'identità del misterioso mandante: quella ferita alla gamba...
Poliziesco bruttarello, che pare esporre tutti i tòpoi del genere classico: poliziotto in crisi familiare, omertosi rapporti in cui è coinvolto il Potere, esponenti dello Stato poco affidabili… Balza all’occhio che più un attore del cast è bravo e meno è presente nel film. Stafford rigido, Tolo inespressiva e con voce urticante, Pellegrin di maniera. Bene, invece, Zamuto nel suo ennesimo ruolo di vistoso contorno. Il film sfiora vari tasti, ma non ne tocca per davvero neppure uno. Finale tanto illogico quanto sciatto e quanto scontato: era difficile chiudere peggio.
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Il giornalista ucciso nelle prime battute del film (interpretato da Umberto Orsini) allude a Mauro de Mauro, cronista de "L'Ora" scomparso il 16 settembre 1970 e assassinato dalla mafia (ma il corpo non fu mai ritrovato) a causa delle sue indagini sulla morte di Mattei che lo portarono poi a scoprire molti scottanti segreti
(pare che sapesse che stessero organizzando il golpe Borghese). Anni dopo alcuni pentiti di mafia (Buscetta su tutti) confermarono la sua uccisione da parte della mafia.
Il processo per la sua morte è iniziato 3 anni fa e vede come unico imputato Totò Riina.