il Davinotti

Tratto da una storia vera e dal romanzo di Martin Sixsmith (qui interpretato da un bravo Coogan). Un giornalista aiuta una donna a ritrovare suo figlio dopo che questi gli era stato sottratto in età infantile. Buona pellicola. Interessante, coinvolgente e che non cade mai nel pietismo. Si può leggere anche come una critica alla Chiesa irlandese. Judi Dench (candidata all'Oscar) più che brava.

Una ricostruzione tirata fin troppo per le lunghe sull'agghiacciante caso di una coppia di serial killer attiva in Inghilterra tra gli anni '60 e gli anni '80, con testimonianze di giornalisti e psichiatri che raccontano, senza aggiungere molto, le storie personali dei coniugi West e la loro terribile carneficina a danno di ragazze ospitate come tate e poi torturate e uccise. Molto carente sul piano documentario, è limitato alla verbosità degli intervistati che non possono far altro che ripetere più o meno le stesse considerazioni che potevano essere concentrate e meno noiose.

Dalla popolare serie televisiva britannica "L'ispettore Regan", un buon poliziesco che miscela, un poco ingenuamente, intrallazzi di alta geopolitica e l'irsuta caparbietà dell'ispettore di Scotland Yard. I due poli dell'ispirazione sono ben resi da Thaw e dall'elegante vischiosità di Foster, eminenze di un cast che fa dei volti (inglesi) uno dei punti di forza. Se la trama riserva poca originalità e qualche ruvidezza, ciò è in parte riscattato dalle esplosioni di violenza che, scorrettamente, non risparmiano nessuno. E anche il finale bruciante chiude degnamente il sipario.

Appesa definitivamente l'incredulità al gancio, il meccanismo del mockumentary compie il suo dovere, tra soggettive claustrofobiche, suoni stridenti e accumolo di premesse. Funziona nell’ovvietà della messinscena (con almeno un paio di sequenze da cardiopalma) e si sfalda quando vuole imporre a tutti i costi il coup de théâtre. Approssimativa la scelta del cast; funzionale l’ambientazione scolastica.