Discussioni su Paolo Borsellino - Miniserie TV (2004)

DISCUSSIONE GENERALE

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  • Gugly • 22/07/10 18:10
    Portaborse - 4710 interventi
    In questi giorni escono notizie sconvolgenti:

    "Borsellino, un'altra autobomba
    era pronta a uccidere il giudice


    Il giudice Paolo Borsellino, vittima di un attentato mafioso il 19 luglio 1992

    Dopo anni di depistaggi, si scopre che la mafia quel giorno aveva un piano bis: un secondo commando addestrato per fare strage sotto la casa di via Cilea
    GUIDO RUOTOLO
    INVIATO A PALERMO
    Ecco le verità che stanno affiorando dopo diciotto anni di «depistaggi colossali», per dirla con le parole del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari nel giorno delle audizioni palermitane all’Antimafia guidata da Beppe Pisanu. E sono verità che fanno male a tutti, ai magistrati che hanno fatto le indagini, che hanno giudicato gli imputati, che hanno condannato all’ergastolo degli innocenti.

    Agli apparati di sicurezza, alle forze di polizia che non sono state in grado di coltivare le piste giuste. Ai livelli politico-istituzionali che hanno fatto finta di non sapere quello che stava accadendo.

    Quando Sergio Lari, gli aggiunti Bertone e Gozzo, il pm Nicolò Marino hanno raccontato l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio (l’audizione è stata segretata), i commissari dell’Antimafia sono rimasti sconvolti, increduli. Come è possibile che per tanti anni nessuno si sia mai accorto della fine che aveva fatto il motore della 126 imbottita di esplosivo? Come se facesse parte di una strategia raffinata, quella di alimentare misteri che tali poi non erano. Chissà dove è finito il motore? Chi l’ha fatto sparire? C’è lo zampino dei servizi, non è farina del sacco di Totò Riina...

    Dubbi, domande, sospetti che si sono inseguiti per 18 anni. Bene, quel motore non è mai sparito da via D’Amelio per il semplice fatto che è rimasto accanto ai resti della macchina e dei corpi maciullati delle vittime.

    Secondo mistero: da dove e chi ha premuto il pulsante del telecomando dell’autobomba? Sono 18 anni che se ne parla. Si è favoleggiato sullo splendido castello che sovrasta Palermo e che si trova sul Monte Pellegrino: il Castello Utveggio, dove aveva una sede distaccata l’allora Sisde, oggi Aisi, il servizio segreto civile. E’ stato il cavallo di battaglia del consulente Gioacchino Genchi. Anche questo da oggi non è più un mistero. La postazione da dove è stato premuto il pulsante è all’ultimo piano di un edificio con tre scale che si trova in linea d’aria a centocinquanta metri da via D’Amelio, il palazzo dei Graviano, i costruttori prestanome dei Madonia, la famiglia mafiosa a cui appartiene come mandamento via D’Amelio.

    Ma soprattutto i commissari di Palazzo San Macuto hanno avuto un sussulto quando i magistrati di Caltanissetta hanno raccontato uno scenario incredibile, e che sarà materia di approfondimenti investigativi: Cosa Nostra aveva attivato una seconda squadra operativa in grado di intervenire in via Cilea, dove abitava Paolo Borsellino (lo ha raccontato il pentito Antonino Galliano). Insomma, quel maledetto giorno due autobombe erano pronte a esplodere: una sotto casa del magistrato, l’altra sotto l’abitazione della madre di Paolo Borsellino. Solo a riassumere questi tre misteri si comprende subito quanto sia stata «anomala» la strage Borsellino, quanto lontana dal cliché dei Corleonesi.

    Al di là di Gaspare Spatuzza - e poi delle ritrattazioni dei tre vecchi pentiti Candura, Scarantino e Andriotta - e delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e della sua copiosa documentazione, le novità di Caltanissetta arrivano tutte dal lavoro tecnico sulle prove, sulla documentazione raccolta all’epoca, e lasciata inspiegabilmente nel dimenticatoio.

    La polizia scientifica centrale ha ricostruito la scena del crimine. L’ha suddivisa in cinque parti, l’ha resa vera con un collage, un puzzle composto da migliaia di fotografie, di frammenti di video, anche quelli amatoriali. E quante sorprese hanno lasciato stupefatti persino gli uomini della Scientifica. La prima scoperta è stata il motore. Era lì, non hanno dubbi, l’hanno scritto nella loro perizia gli uomini della Scientifica. Chi c’era in quella postazione del palazzo dei Graviano? E come si è arrivati all’individuazione del palazzo? Probabilmente il Giovanni Brusca di via D’Amelio potrebbe essere Fifetto Cannella o lo stesso Giuseppe Graviano. E’ una ipotesi, ancora tutta da riscontrare, ma che siano loro gli inquirenti di Caltanissetta non hanno molti dubbi.

    Le foto, i filmati mostrano addirittura le cicche di sigaretta a terra, sul pavimento dell’attico del palazzo Graviano. Si vede anche un vetro, probabilmente un riparo per chi doveva premere il pulsante. Ricordate Capaci? Ben presto fu individuato il casolare a metà strada tra Isola delle Femmine e Capaci da dove Giovanni Brusca premette il pulsante dell’esplosivo che fece saltare Giovanni Falcone, la moglie, la sua scorta. Quelle cicche di sigarette, il Dna, le indagini che andarono in porto.

    Perché per via D’Amelio non è stato fatto lo stesso. Si scopre solo adesso che a poche ore dalla strage arrivò una segnalazione anonima. Una signora molto arzilla disse al telefono: «Ho visto del movimento all’ultimo piano del palazzo Graviano. Guardate che i Graviano sono dei prestanome dei Madonia...».

    E poi il sospetto che quel giorno fossero pronte due squadre operative di Cosa nostra, una che si appostò in via Cilea, dove abitava Paolo Borsellino. L’altra in via D’Amelio. Da chi era composta la squadra di via Cilea? Che fine ha fatto la seconda auto imbottita di tritolo? Chi doveva premere il pulsante dell’innesco?

    Domande alle quali i magistrati di Caltanissetta stanno cercando di dare risposte. Colpisce la considerazione di Gaspare Spatuzza che quando riconosce in Lorenzo Narracci (funzionario dei servizi segreti) l’uomo presente nel garage dove si stava imbottendo di esplosivo la 126 che doveva servire per la strage di via D’Amelio, commenta: «E’ l’unico attentato con l’esplosivo che abbiamo gestito noi che va in porto».

    E già, i Graviano, la famiglia di Brancaccio. E gli attentati non riusciti, come quello di via Fauro (doveva saltare in aria Maurizio Costanzo), o l’autobomba dell’Olimpico, che alla fine del gennaio del 1994 doveva fare una ecatombe di carabinieri.

    Le indagini sulle stragi palermitane hanno ancora bisogno di tempo per arrivare a una conclusione. In autunno dovrebbe avviarsi il meccanismo per la revisione dei processi che hanno condannato all’ergastolo degli innocenti. Stiamo parlando degli esecutori materiali della strage.

    E poi c’è il capitolo «doloroso» dei depistaggi, delle calunnie. Sono coinvolti alcuni poliziotti che condussero le indagini: Vincenzo Ricciardi, Mario Bo, Salvatore La Barbera. Se fosse ancora vivo sicuramente sarebbe indagato anche Arnaldo La Barbera che guidò quel gruppo di investigatori.

    E l’ultimo capitolo da approfondire è quello della trattativa, del coinvolgimento di pezzi delle istituzioni. All’Antimafia, gli inquirenti di Caltanissetta hanno ribadito quello che era già noto, con le dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Borsellino viene ucciso anche per la trattativa che era stata avviata dal Ros dei carabinieri di Mario Mori e Beppe De Donno. Perché due giorni dopo la strage, con i funerali di Paolo Borsellino ancora da celebrare, l’allora colonnello Mario Mori va subito a Palazzo Chigi per rivelare a Fernanda Contri, capo di gabinetto del presidente del Consiglio Giuliano Amato, che aveva intavolato un certo discorso con Vito Ciancimino?"




    ma vi rendete conto? Questo giudice doveva morire a tutti i costi, e apparentemente la mafia se ne è fregata degli inevitabili contraccolpi (l'operazione Vespri Siciliani, l'esercito in Sicilia) che questo attentato le avrebbe causato nemmeno due mesi dopo quello inflitto a Giovanni Falcone.

    Purtroppo non è fiction, ma vita vera la sequenza in cui il giudice annuncia che è arrivato il tritolo per lui.

    Oggi pare che Borsellino sia stato eliminato perchè contrario alla c.d. trattativa tra Stato e mafia.

    Vorrei anche vedere! Condivido appieno questo punto di vista: i mafiosi compiono reati e vanno condannati, altrimenti li si legittima alla pari con le istituzioni.

    Con le Brigate Rosse nessuna trattativa, ricordo...
    Ultima modifica: 25/07/10 14:06 da Gugly
  • Zender • 22/07/10 20:13
    Capo scrivano - 47728 interventi
    Sul fatto che dovesse morire non ci piove. "Un cadavere che cammina", mi pare che lo definissero proprio nel film. Che esistesse un "piano B" non mi sorprende affatto. Eh, combattere la mafia non è come combattere le Br, purtroppo.
  • Gugly • 22/07/10 20:54
    Portaborse - 4710 interventi
    Piano B presuppone dispiegamento di mezzi, complicità e collusioni; piano b concordato e predisposto meno di due mesi dopo Capaci, si tratta di un particolare non trascurabile.
  • Gugly • 23/07/10 08:46
    Portaborse - 4710 interventi
    Il quotidiano La stampa ha deciso di andare sino in fondo:

    Dal sito www.lastampa.it


    I mozziconi mai sequestrati,
    l'ultimo giallo di via D'Amelio



    GUIDO RUOTOLO
    INVIATO A PALERMO
    Via D’Amelio ancora sembrava Beirut la mattina dopo. La devastazione, pezzi di lamiere contorte, frammenti di vetri sparsi ovunque, mura sventrate. E i resti, i poveri resti dei corpi maciullati erano stati portati via ma le loro tracce ancora è come se stessero là.

    La mattina del 20 luglio quando i due «sbirri» della Criminalpol di Catania - arrivati come tanti altri poliziotti da altre sedi per aiutare i colleghi palermitani nelle indagini - si trovarono di fronte a questo scenario, non si persero d’animo.

    Da cinquantasei giorni erano sotto stress gli agenti italiani. Per via di Giovanni Falcone e della sua scorta saltati in aria a Capaci. E adesso lo smacco di Borsellino, la provocazione di via D’Amelio. Tutto sembrava perso.

    Un «uno due» micidiale. Ci voleva sangue freddo e lucidità per cercare di capire dove, chi, cosa cercare. Ognuno dava un contributo, nei limiti delle proprie capacità.

    Anche quei due «sbirri» di Catania, Ravidà e Arena, si rimboccarono le maniche quella mattina dopo, con un caldo opprimente e i singhiozzi strozzati di Palermo.

    La scena l’hanno raccontata ai magistrati di Caltanissetta che li hanno interrogati. E’ come se avessero consegnato un video, tanto il racconto è apparso vivido. Immaginate i due in via D’Amelio. D’istinto hanno cominciato ad alzare gli occhi al cielo per capire da dove quel maledetto carnefice avesse premuto il pulsante dell’autobomba. Una panoramica a 360° e gli sguardi si fermano su quel palazzo marrone che ancora era un cantiere. Non si poteva accedere da via D’Amelio, era dietro il garage Galatolo, accanto a quell’altro palazzone grigio. Ma a differenza del primo, non era ancora ultimato.

    Di chi è quel palazzo? I due «sbirri» sono curiosi, vanno lì, salgono le scale, fanno domande. Incontrano i costruttori, i Graziano, si fanno consegnare i numeri dei loro cellulari. Guardano in giro, salgono all’attico ancora non ultimato: un vetro blindato, cicche di sigarette, una siepe di pini. Tornano in questura, scrivono la loro relazione di servizio che lasciano ai colleghi della Mobile.

    Che felice intuizione, una pista senz’altro da coltivare. La scena del crimine, le cicche di sigarette per terra, il vetro blindato, come se dovesse proteggere chi doveva premere il pulsante. Un bell’inizio per le indagini. La ricerca di tracce di Dna, le impronte palmari sul vetro che avrebbero potuto far risalire ai killer, ai carnefici di Borsellino.

    E invece? Facile immaginare che nulla di tutto questo è accaduto, visto che via D’Amelio anche in questo si è differenziato da Capaci.

    Tanto per essere chiari, un magistrato all’epoca applicato a Caltanissetta, per le indagini, a distanza di tanti anni ha un ricordo preciso: «Escludo che quella relazione sia arrivata a noi».

    Il paradosso, o se volete il giallo, è che quella relazione di servizio dei due «sbirri» catanesi è stata sviluppata dal gruppo di investigatori della squadra «Falcone e Borsellino». E il fascicolo rischiava di essere divorato dai topi (il questore di Palermo ha denunciato che tutto l’archivio del «Falcone e Borsellino» rischia di essere inservibile) se la Procura di Caltanissetta non l’avesse tirato fuori.

    E l’aspetto davvero assurdo è che dentro la cartellina c’erano anche le foto delle cicche di sigarette, del vetro blindato.

    A 18 anni di distanza nessuna verità processuale ha stabilito chi e da dove ha premuto il pulsante del telecomando dell’autobomba.

    Dalle cicche di sigarette, e cioè dalla saliva lasciata sul filtro, si risale al Dna. E’ vero che la banca dati non è comprensiva di tutti i Dna esistenti, però avere la carta d’identità di chi ha premuto il pulsante è importantissimo.

    E poi che errore madornale non aver sviluppato i tabulati telefonici dei cellulari dei costruttori Graziano - almeno «se è stato fatto i suoi risultati non sono arrivati sui nostri tavoli», conferma un pm che all’epoca indagava su via D’Amelio -, i prestanome dei Madonia. E’ facile intuire cosa avrebbe comportato la ricostruzione delle relazioni telefoniche dei Graziano con gli stragisti, per esempio.

    Gli inquirenti nisseni sospettano che potrebbero essere stati Fifetto Cannella, il fedelissimo dei fratelli Graviano, o lo stesso Giuseppe Graviano coloro i quali hanno premuto il pulsante.
    Nelle prossime settimane, la Procura di Caltanissetta darà il via a un accertamento tecnico risolutivo, per stabilire la postazione da dove è partito l’impulso dell’innesco dell’autobomba, e cioè il raggio d’azione del telecomando. Per escludere intanto il Castello Utveggio (che dista almeno 800 metri in linea d’aria da via D’Amelio).

    Quella relazione di servizio del 20 luglio del 1992 dei poliziotti Ravidà e Arena rischia di diventare un simbolo. Una felice intuizione inspiegabilmente abbandonata. Davvero ha ragione il procuratore Lari che parla di «colossali depistaggi». E’ una verità difficile da spiegare: gli stessi poliziotti che alla strage Capaci stanno lavorando per risalire ai colpevoli, quando si tratta di via D’Amelio commettono errori madornali. Lo fanno involontariamente o i vuoti e gli errori fanno parte di una raffinata strategia?
    Ultima modifica: 23/07/10 08:46 da Gugly
  • Maxspur • 8/04/13 14:50
    Galoppino - 208 interventi
    Pietro Biondi(Antonino Caponnetto)e Nino D'Agata(Agostino Catalano)hanno preso parte al precedente "Giovanni Falcone"di Giuseppe Ferrara nel ruolo dei "cattivi" però: Pietro Biondi in quello del "Dottore" e Nino D'Agata in quello del pentito Totuccio Contorno.