Discussioni su Malina - Film (1991)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 15/01/19 DAL BENEMERITO BUIOMEGA71
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    Buiomega71

DISCUSSIONE GENERALE

2 post
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  • Buiomega71 • 15/01/19 10:27
    Consigliere - 26006 interventi
    FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati

    Impetuoso, febbrile, delirante, frenetico, folle, incontrollabile, esagitato, schizofrenico, strabordante (come l'interpretazione della Huppert) ritratto di donna perduta (prima di tutto nella mente), con pene d'amor sofferte che sfociano nella pazzia ginecea e nella perdita della ragione (come la Adjiani nel truffauniano Adele H.)

    Tratto dal romanzo di una scrittrice tormentata , adattato da un'autrice tra le più influenti del panorama austriaco (La voglia),intriso di dialoghi fiume spesso teatraleggianti e altisonanti (o intelletualoidi, nello specifico), Malina (che non è il nome della Huppert, ma del marito di lei, e curiosamente il nome del personaggio disturbato della Huppert non viene mai pronunciato) si infiamma nelle visioni/incubo che Schroeter mette in scena, con l'impeto del miglior Zulawski o del Volker Schlöndorff del Tamburo di latta, frutto della mente devastata e corrotta della Huppert.

    Così, tra incurabili mali d'amore e la Huppert che sprofonda sempre più nella follia, il regista tedesco non lesina su gambe in cancrena (Peter Kern), bambine gettate ferocemente da una terrazza (l'incipit con il bestiale padre nazista, Huppert donna che si vede bambina, in un cortocircuito che rammenta la Farmer del Profumo della signora in nero o la York di Images), durante una scena orgiastica Huppert bambina (tenuta in braccio dalla Huppert adulta) viene sparata da una donna partecipante al baccanale di sesso (con tanto di teutonica ragazza ignuda che canta sdraiata su di un pianoforte), sangue mestruale che cola dalle gambe, vomitando nella borsetta ciucca sfatta in un bar fassbinderiano, il tiranno padre con divisa nazista che si ingozza con la minestra, una soprano che conduce un valzer spettrale e allucinato con damigelle catatoniche e dal ghigno mortifero, la Huppert che urla addosso al padre , mentre lui calpesta delle rose a terra, sputandole, poi, in faccia, la Huppert (prove generali per la futura Pianista) che spia una coppia nuda che fa all'amore in un giardinetto, per poi ricevere uno schiaffo dal ragazzo, la Huppert tra le mummie herzoghiane del Nosferatu che narra un'episodio che le successe da ragazzina (Il fanciullo che le piaceva, durante una festa, la chiama fuori e le ammolla un pugno in faccia solo per divertirsi), la Huppert che attraversa un corridoio tutto contorniato da animali impagliati, la rabbia della Huppert che si fa carne e tutto distrugge in uno stato di frenesia progressiva, buttando all'aria fogli, lettere, vedendo strane crepe nelle pareti di casa, scottandosi, ferendosi, in un autolesionismo compulsivo.

    Eppoi le fiamme, il fuoco, che ininterrottamente ardono nell'appartamento come nemmeno il Lynch di Cuore selvaggio, metafora dell'interiorità confusionaria e furiosa della Huppert, dove i falò appiccati per casa circondano lei e Malina in una specie di antro infernale casalingo, e non se ne curano nemmeno (che sembra di vedere Inferno, fuoco, sta andando tutto a fuoco) tanto sono persi dai loro demoni interiori (emblematica, a questo proposito, la sequenza in cui Mathieu Carrière prende una telefonata con la scrivania e il telefono avvolti dalle fiamme e risponde come se nulla fosse)

    Spesso criptico (sogno? realtà? immaginazione?), zeppo di simbolismi, ma pervaso dalla straripante narrazione surreale del regista tedesco (bellissima la sequenza del cinema con il film di animazione, mentre la Huppert parte in un sogno ad occhi aperti da romanzo d'appendice tra cavalieri e principesse, la Huppert che si "inabissa" in un lago vedendo una grottesca e sgraziata coppia felliniana che si avvinghia nelle loro flaccidi nudità), che macera in stati di allucinazione bunueliani tra padri/padroni, traumi infantili e vaneggiamenti quasi orrorifici a passo di valzer.

    Magnificamente fotografato, intensamente interpretato (la Huppert va spesso sopra le righe sia quando si fa la doccia vestita, sia quando si lascia abbracciare dalla follia più estrema), visivamente ammaliante e seducente, infuocato trattato di donna passionale e bisognosa (fin troppo) d'amore, che scivola inesorabilmente nei meandri della demenza e dell'alienazione mentale.

    Ovviamente opera non per tutti i gusti e di difficile fruizione, ma se ci si lascia andare alla veemenza narrativa di Schroeter, la seduzione e il fascino possono anche conquistare, non senza tocchi di straniante morbosità e fulminante anarchia visiva.
    Ultima modifica: 15/01/19 19:39 da Buiomega71
  • Raremirko • 15/01/19 22:06
    Call center Davinotti - 3862 interventi
    Grande Buio, ho letto tutto d'un fiato; io lo vedrei solo per la Huppert, donna da me sempre idolatrata e che trovo ancor oggi bella.