Rebis • 27/02/14 10:42
Compilatore d’emergenza - 4420 interventi Carissimo, sgomitando tra impegni, lavoro e film in cantiere, eccomi giunto al quarto appuntamento con il
ciclo buiesco :)
Non ti nascondo che è stata una grossa delusione… ma so che apprezzerai la mia franchezza.
Mi è parso un film immaturo, irrisolto, ambizioso. Come sintomatologia del vuoto esistenziale avrebbe anche una sua forza pervasiva, data più che altro dallo stile geometrico, glaciale di Clay, alle soglie del documentario. Il determinismo ambientale, con il paesaggio che assume una valenza espressiva di primo piano rimane un elemento di suggestione (pur essendo una chiave interpretativa molto generica: non è certo il livore della provincia a produrre atti di estrema violenza - giungle e città ne sono piene…) ma funziona, almeno fino a quando Clay si limita a descrivere le azioni dei personaggi. Il problema è quando cerca di alzare il tiro e di individuare delle cause di forza maggiore, allora sbraca clamorosamente, incorre in strafalcioni e grossolanità: la guerra in Iraq - tutti i televisori del film non parlano d’altro: cosa starebbe a significare? Che mentre l’Inghilterra presta soccorso all’intervento americano contro la dittatura di Saddam Hussein coltiva in seno giovani mostri? Mi sembrano proprio due pesi e due misure, un modo piuttosto spicciolo di fare della polemica; Herzog evocato nel titolo - citazione pretestuosissima: l’estasi dell’intagliatore Stainer mentre si lancia nel vuoto non ha davvero nulla a che vedere con quella provata da Robert mentre brutalizza una donna… e anche qui due pesi e due misure accozzati; il Mahabharata sdoganato con solennità nel finale e strumentalizzato in funzione provocatoria – con l’effetto di una citazione da baci perugina che decontestualizza totalmente una frase nell’urgenza di addizionare significati (un po’ a caso, diciamolo…) per legittimare un finale atteso come la quaresima. Il film si ammanta di presunzione, di un fastidioso intellettualismo, perde in urgenza e spontaneità. Il carosello di droghe, abusi, tempi morti, fancazzismo, musica rave, è sociologicamente precotto, e il pugno allo stomaco finale ha tutta l’aria di un goffo tentativo di lasciare il segno piuttosto che di una sincera, perturbante presa d’atto.
Ho apprezzato la definizione psicologica del protagonista, Robert Carmichael: il suo senso di frustrazione e impotenza, il bisogno di “iniziarsi” al branco, le mani che suonano il violoncello e poi si imbrattano di sangue quando compie una strage. Nel complesso è un ritratto efficace e ben delineato, giocato in sottrazione e per dettagli minimi: Clay avrebbe dovuto limitarsi a orbitare attorno a lui piuttosto che ambire ad uno spaccato sociale della contemporaneità.
Il fatto che Clay citi a più riprese il cinema di Haneke per me dimostra solo il valore di quest’ultimo, la sua imprescindibilità, l’impatto cha ha avuto sulle nuove generazioni di cineasti e sul cinema della violenza in genere, ma non mi sembra né una soluzione originale né un segno di talento…
Ecco Buio, l’ho detto. Spero che il mio parere conti solo come tale e che valga il confronto tra impressioni opposte, per me sempre stimolante.
Ultima modifica: 27/02/14 20:59 da
Rebis
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