Buiomega71 • 18/01/20 10:16
Consigliere - 26011 interventi Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.
Grandissimo titolo che và a chiudere questa personale mini rassegna sull'introspezione della visione.
E non poteva essere altrimenti, un specie di
Occhio che uccide che sembra rivisto dall'ottica morbosa di Salvatore Samperi, dove il macchinario voyeuristico adottato da Fernando Rey scruta i segreti altrui, invade la privacy, mostra una realtà distorta e libertina, fino a che il vecchio borghese paraplegico vede troppo, arrivando alla inevitabile tragedia.
Petrelli (ahimè al suo primo e unico film) mette giù rapporti malsani e malati, studia (come fa Rey) il comportamento innaturale e deviato dei suoi personaggi, una cricca di pervertiti dove nessuno si salva, immergendo la sua opera nella più pura scopofilia, nel tarlo dell'ossessione sessuale che và a toccare incesto, voyeurismo, pedofilia, sodomia omosex, feticismo e cuckold.
Ma Petrelli non è solo questo, raffinato nella sua messa in scena (ottima la fotografia di Cristiano Pogany), impreziosito dallo score gobliniano di Pippo Caruso, dagli interni dell'appartamento argentiano, da scelte registiche davvero degne di nota (il terribile flashback dell'incidente "rivelatore"), da un'intelaiatura narrativa che lo eleva spanne sopra agli erotici italici del periodo.
Dall'incipit in treno che odora di psychothriller, si arriva a deliziose e squisite parafilie da segnare sul taccuino della morbosità, e nel bel mezzo schegge lisergiche in puro Corman-style, con il primo piano fotografico della Bisera che si sdoppia in visioni all'LSD.
Il laidissimo (e grandissimo) Josè Quaglio (vero deus ex machina della losca vicenda) che raccoglie il pelo della Bisera dalla vasca da bagno e lo annusa con ardore feticistico (cultissima, poi, l'entrata improvvisa e inaspettata di lei, che le ammola due sonori sberloni al grido di "Disgustoso cretino!"), e che, in camera sua, nell'armadio, ha una specie di gigantografia dell'amata padrona, che venera addobandola di biancheria intima, una grottesca figura stile
Bambole e sangue, e non ultimo , in giardino, brucia una scatola che contiene la foto della donna, che darà alle fiamme, non prima di aver ben snasato, per l'ultima volta, i collant trafugati della signora.
Dal feticismo (condito da attacchi voyeuristici con l'occhio attaccato alla toppa della porta del bagno, una via di mezzo tra le docce fenechiane e
Psycho), si passa a pulsioni pseudopedofile con la Lucilla della Zanchi (che sembra molto più giovane dell'età che ha), ancora con Quaglio che le sferra un attacco quasi stupratorio sul dondolo, per poi finire in camera da letto alle prese con un lordo rapporto orale.
Come di culto è la "violenza" anal che subisce Law (minuziosamente osservata dal duo Rey/Bissera), non solo perchè tra le prime in un film italiano, ma anche (e soprattutto) perchè "l'amante" occasionale è un nero, in un momento che stà tra il futuro Fassbinder di
Querelle e il Verhoeven di
Spetters.
Alcuni dialoghi artificiosi ( e risibili), tipici dell'epoca, che escono dalla bocca di Law e un finale suicida tra le fiamme un pò tirato via (ma la colpa è da imputare alla versione del dvd targato
CineKult, che omette l'annuncio radio nel mentre Law armeggia con un tubo di gomma, e che non fa capire bene il perchè della scelta del suo gesto) frenano, di poco, l'ottimo potenziale che questa insana pellicola sprigiona.
I palpeggiamenti di Rey alla Bisera mentre lei GUARDA, attraverso le lenti (ancor più eccitante se già si sà, mandando a remengo gli spoiler, il rapporto che lega i due), Law che fa ginnastica nudo, i flashback (con motivetto infantil/argentiano) di ricordi di famiglia non propriamente purissimi, gli interni decadenti (come i suoi inqulini) della magione (la sala da pranzo, lo studio degli studi sbircionistici) che contrastano con lo stile moderno dell'appartamento dove alloggia Law, la passione incestuosa che tutto divora e annienta, il giardino autunnale e il ghigno finale di Quaglio che si stampa cinico e beffardo.
Bad Ronald non è passato invano.
L'occhio (che vede oltre i muri) come estensione sessuale di una borghesia flaccida e malata che ha perso il suo fascino indiscreto, e quello che rimane è solo la solitudine e la morte.
Un cioccolatino al veleno, come lo definisce il suo stesso autore, che ne voleva fare qualcosa di più intellettualoide. Fortuna che la produzione lo ha traghettato nei meandri della più viscerale sexploitation.
A parte quello che è riportato in home video, rimando all'ottimo (e esaustivo) speciale sul film scritto dal nostro Deepred su Nocturno (n.196, aprile 2019, pagina 89/90).
POI DAVINOTTATO IL GIORNO 25/03/19
Fauno
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