Buiomega71 • 28/10/13 10:07
Consigliere - 25934 interventi Bellissimo e doloroso poema sulla malattia e sulla morte, sull'amore eterno e sulla vita, sull'utopia di fermare la morte e vivere per sempre.
Aronosfsky mi ha ipnotizzato con le sue immagini surreali e avvolgenti, con uno stile unico e una regia visionaria non comune, che sposta l'asse in tre epoche differenti (straordinaria quella degli anni bui dei conquistador, toccante e struggente quella dei giorni nostri, visionaria e lynchiana quella di un ipotetico futuro new age)
Il cancro cronenberghiano che avanza e cresce implacabile (c'è pure il babbuino della
Mosca), il viso angelico di Rachel Weisz, che Aronofsky illumina con una luce abbagliante, di magnifici PP dal sapor lynchiano (non per nulla la parte medievale mi ha ricordato-anche per scenografie retrò-
Dune), il dolore palpabile di Jackman, impotente nel veder spegnersi pian piano la moglie , il libro "The Fountain" che lei non e riuscita a finire, fermo al capitolo dodicesimo, la Weisz che sviene nel museo (con scenografie e colori saturi che mi hanno ricordato il coppoliano
Un Sogno Lungo Un Giorno). Tutti tasselli che scaldano e toccano il cuore, in una girandola (ora realistica, ora trasognata) che ammaglia e incanta, come la corteccia dell'albero che con un elissi diventa il corpo nudo della Weisz.
Aronofski, poi, trascende pure nell'incubo carnale (le autoflagellazioni dell'inquisitore, gli eretici appesi per i piedi durante l'oscuro e cupo processo, Jackman che si trasforma in una specie di giardino antropomorfo-come nei migliori horror ottanteschi-) e dona momenti assoluti (l'insensibilità della Weisz per il freddo-a piedi nudi sulla neve-e per il caldo-la spugna imbevuta di acqua bollente-) che sfocia nel bellissimo momento nella vasca da bagno
Ci sono sì alcuni punti pagliacceschi (l'albero della vita che erutta una specie di "latte" miracoloso, Jackman che lievita e viaggia in una bolla tra l'infinito e oltre, l'albero che svolazza , il re maya che si inchina a Jackman "buddista"), ma sono attimi perdonabili, in un opera già di per sè non facile e pregna di diverse chiavi di lettura, dove sfiorare il ridicolo involontario era dietro l'angolo
Meravigliosa fotografia di Matthew Libatique e penetrante score di Clint Mansell
Opera incompresa (in parte), che non scende a compromessi, quasi unica nel suo modo di narrare (questo e il primo film di Aronofsky che vedo, quindi pronto per gli altri suoi 4 film), dove e costantemente presente la morte, il lutto, l'amore sopra ogni cosa, che sia un conquistador spagnolo innamorato della sua bellissima regina pronto a un impresa herzoghiana di lancilottiana memoria, di un marito che cerca di fermare la morte pur di salvare la sua amata moglie, di un "astronauta" che vive in un oasi newageiana deciso a salvare l'albero della vita, corroso dai suoi fantasmi
Mi resterà dentro per un pò, come i toccanti flash di una Weisz sorridente prima della malattia.
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