Buiomega71 • 24/02/18 09:57
Consigliere - 25998 interventi Quello che mette davvero più a disagio sono la fredezza e la deprimente atmosfera che impregna la pellicola, quintessenza di disagio e solitudine.
Dai casermoni squallidi e inospitali della glaciale periferia di Oslo, all'alienante scuola elementare, ai corridoi e ai garage sotterranei (che per frigida e scostante algidità rimandano al primo Cronenberg), agli appartamenti disadorni e impersonali.
Prima di tutto colpisce questo in
BabyCall, un gelido manto pessimista tipicamente scandinavo, allegro come un cancro, divertente come un incidente stradale, per la serie mai una gioia dalle parti di Lars
Poi c'è il film, che è lentissimo nei suoi gesti quotidiani, nel deambulare di una Noomi Rapace tra autobus, negozi Expert, boschi e boschetti, laghi, laghetti e parcheggi, divorata dalla paranoia e dall'apprensione schizofrenica per il figlioletto, che si deve districare tra mariti violenti (solo nominati), strani amichetti del figlio, assistenti sociali schifosetti e molestatori, babycall che trasmettono grida di dolore e disperazione, annegamenti e forbiciate splatter-sullo stile di
Images-, fino alle estreme conseguenze.
Che si mangi la foglia a metà film (o anche prima) e forse colpa dell'ormai abusata formula
SPOILER da Presenze in sù, fino ad arrivare a Goodnight Mommy
FINE SPOILER, e il tutto sembra un pò confuso tra realtà e stati di allucinazione (ma quella del laghetto/parcheggio è un bel pezzo di cinema visionario e instabile, il bosco fatato in mezzo alla frustrazione metropolitana/mentale, che sarà palcoscenico di infanticidi), dove, in dirittura d'arrivo, Sletaune ti arriva con due twist finali (il primo abbastanza intuibile, il secondo molto meno, che regala al film quel retrogusto "malato" e doloroso, dove schegge di lancinante realtà si mischiano con l'immaginazione di una mente ormai in totale corto circuito)
Non tutto fila liscio narrativamente (l'inutile parentesi della madre morente del timido amico di Anna) e qualche sforata nella monotonia si fà sentire, ma è l'involucro alienante che emerge, come la Berlino di
Possession o la New York di
Dark Water, di cui la Oslo di Sletaune non ha nulla da invidiare, così come una madre che perde il contatto con la realà che la circonda, parente non troppo lontana della Adjani zulawskiana (che guarda caso condivide lo stesso nome) e dalla Connelly sallesiana alle prese con i fantasmi e le acque putride (anche in
BabyCall l'acqua è un elemento predominante)
Pugno in faccia la scena di apertura iniziale (che chiude il cerchio), nella drastica scelta polanskiana finale.
Sconsigliato a chi soffre di crisi depressive
Anna, dov'è Anders?
Mutaforme
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Schramm, Daniela
Cotola, Gestarsh99