Undying • 19/10/08 22:53
Risorse umane - 7574 interventi La sceneggiatura di
Sette Note in Nero, a detta di
Dardano Sacchetti, fu molto travagliata e si dilungò per lungo periodo tra incontri ripetuti di Fulci e Sacchetti con questo o quel produttore.
Alla base del film stava un romanzo scritto da
Vieri Razzini:
Terapia Mortale.
Stralcio di un'intervista realizzata a Dardano Sacchetti.
Viene spesso trasmesso in tv il giallo di Fulci Sette Note in Nero (titolo di lavorazione "Terapia mortale"), la sceneggiatura è accreditata a Te, Gianviti e Fulci stesso.
Puoi svelarci alcuni retroscena del regista? Il tuo primo lavoro realizzato con Fulci come lo ricordi? Quali sono gli apporti del regista in fase di sceneggiatura?
Era il 1975.
Avevo scritto
Roma a Mano Armata che ebbe un successo clamoroso ed era veramente ben scritto, tanto che
Lenzi, per riconoscermelo, non mise la sua firma come fanno tutti i registi.
Il film fu visto dall'avvocato
Todini, che avevo conosciuto quando avevo il contratto con
Dino (
De Laurentiis, n.d.r.).
Loro stavano cercando di mettere in piedi un giallo con
Fulci tratto da un romanzo di
Vieri Razzini: "
Terapia mortale".
Erano fermi da tre o quattro mesi. Non avevano prodotto neanche una riga scritta. Ogni settimana facevano una riunione e parlavano rassicurando i produttori.
Fui imposto come esperto di "argentismo", ma
Fulci mi accolse con molto sospetto, diceva che ero la spia dei produttori, ma soprattutto non mi capiva.
Lui, allora, amava la "vecchia", ovvero
Agatha Christie, e insieme a
Gianviti si spacciavano per grandi costruttori di trame.
Gianviti, col quale ci fu un’istintiva simpatia, mi consigliò di stare zitto e aspettare che
Fulci cavasse le castagne dal fuoco.
Roberto era una persona adorabile ma semplice, aveva scelto per se il ruolo di sceneggiatore gregario, ovvero portatore d'acqua del regista e veniva ricompensato da
Fulci con una certa fedeltà perche se lo portava sempre dietro.
Si facevano riunioni tutte le mattine, dalle dieci a mezzogiorno, poi il pomeriggio dalle quattro alle cinque e mezzo.
(...)
Durante queste lunghe ore,
Fulci fumava la pipa,
Gianviti fingeva di prendere appunti io smaniavo.
(...)
Il guaio era che il romanzo di
Razzini non offriva quelle cose che voleva
Fulci e che volevano anche i produttori.
Dopo un paio di mesi, forse anche tre passati a grattarci, quando i produttori stavano per licenziarci,
Fulci ebbe la genialata: andò dai produttori e disse loro che il romanzo faceva schifo, ma che lui aveva una idea grandiosa.
Quelli abboccarono.
Gianviti cominciò a snocciolare una serie di film famosi da copiare (sic! si faceva così spesso).
Fulci, che fingeva di essere cinico, ma in realtà era molto sensibile al sovrannaturale, aveva un teorema: che non si può andare contro il destino, che se il destino dice che ti deve accadere una cosa quella cosa accadrà inesorabilmente.
Io, a mò di scommessa, gli dissi che si poteva aggirare il destino.
Lui rispose che era impossibie.
Io mi presi mezza giornata, e il giorno dopo gli raccontai il meccanismo del muro e dell'orologio che suona.
Gli piacque subito,
Lucio capiva al volo quando una cosa funzionava.
Scrissi un trattamentino (
il "trattamento" è qualcosa che sta a metà fra soggetto e sceneggiatura, Nd Legnani).
In meno di cinque giorni, avemmo l'approvazione e scrivemmo la sceneggiatura, ma una volta consegnata ai produttori, per motivi che non ho mai capito, dissero di no.
Fulci la prese, la portò altrove e trovò una nuova produzione in meno di un mese.
(...)
Se guardate le sceneggiature degli anni 50 vedrete che sono firmate da cinque, sei, sette anche otto persone.
Si chiudevano in un albergo.
Nessuno scriveva perchè non avevano dimistichezza con la penna, ma si facevano grandi racconti.
Si prendevano appunti e le scenaggiature erano (a volte anche adesso) più che altro degli appunti con una lista dialoghi.
Fonte: mia intervista allo sceneggiatore.
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