Buiomega71 • 10/06/18 19:22
Consigliere - 25999 interventi * Come lo stesso Quintavalle scrive nel suo libro, Pasolini era un continuo fermento di idee sul set di
Salò, con improvvisazioni quasi giornaliere tra "buona la prima" e inquadrature più "ricercate" (che però, stando a Quintavalle, non facevano parte della sua personalità artistica) tra cui quella famosa e esaminata del binocolo nel prefinale. Pasolini provava un'invidia non troppa nascosta per
Bernardo Bertolucci, che a pochi chilomentri dal set di
Salò stava girando
Novecento, secondo Pasolini un kolossal americano senz'anima pieno di attori hollywoodiani che una volta uscito tutti avrebbero dimenticato, mentre il suo
Salò swarebbe restato nella storia. Un po' per un sentito tradimento che Pasolini imputava a Bertolucci, che aveva iniziato con esordi pasoliniani per poi prendere una sua strada autoriale indipendente allontanandosi da quel ristretto gruppo di intellettuali alla corte di Pasolini. Un po' perché
Novecento - sempre prodotto dalla PEA di Grimaldi - aveva un budget stratosferico che soddisfava tutti i vezzi di Bertolucci, tra i quali la costruzione di una ferrovia in un campo, mentre
Salò era più "poveristico e senza grandi sfarzi", girato in una villa che cadeva a pezzi (a sentire Quintavalle). Pasolini sputava astio anche su
Ultimo tango a Parigi. Di questa amarezza pasoliniana Quintavalle racconta nella famosa partita di calcetto
900 contro 120, con la troupe del kolossal bertolucciano contro quella del sadiano lavoro pasoliniano che vide la sonora sconfitta, per ben due volte, della seconda con Pasolini in campo.
Pasolini aveva appreso durante una cena con qualcuno della troupe di
Novecento che Bertolucci studiava ogni minima inquadratura, ogni minimo dettaglio, mentre lui girava d'istinto, spesso improvvisando. Per non essere da meno, ma non avendo il talento né tantomeno la sensibilità di Bertolucci nel girare certe scene, tornato sul set di
Salò Pasolini si mise a girare scegliendo inquadrature particolari e più "studiate" (tra cui, sembra, anche quella del binocolo) spiazzando il povero Tonino Delli Colli con "orpelli" visivi che non si confacevano con la poetica pasoliniana. Il girato aveva una portata titanica tale che ci vollero ben
sei mesi per montare il film (senza contare le scene venute "male", parecchie cadute in sala di montaggio). Le riprese iniziarono nel febbraio del 1975 e si conclusero nell'aprile dello stesso anno (tra Mantova e Bologna). Il montaggio richiese altri sei mesi e si concluse nell'ottobre del 1975.
Per Quintavalle il
Salò era l'opera più controversa di Pasolini, che si era messo in uno stato di confusione inestricabile senza via d'uscita non sapendo se "punire" i carnefici per le loro malefatte o far prevalere l'amore assoluto dato da una bandiera comunista. Insomma, il lavoro gli era sfuggito di mano e non sapeva come chiudere un'opera tanto scellerata e assoluta nel ritrarre il male.
I tre finali (im)possibili
Pasolini già durante la lavorazione sul set elaborò due finali piuttosto (im)probabili (a sentire Quintavalle).
Era in un periodo che vedeva tutto nero; angosciato, sfiduciato, schifato da quell'italia che non riconosceva più (così come i "suoi" ragazzi di vita), divorata da un irrefrenabile consumismo.
Diceva che che la soluzione a tutti i mali era il comunismo e pensava di chiudere
Salò con il dispiegarsi di
una grande bandiera rossa che si stagliava sullo schermo con la scritta "E' amore".
Quintavalle gli fece notare che un finale non dissimile c'era anche in
Yellow Submarine (Pasolini odiava profondamente qualsiasi cosa avesse a che fare con gli stupefacenti, di conseguenza non prendeva nemmeno in considerazione il cosidetto cinema "lisergico" o "psichedelico" e l'idea di "travestire Stalin" da figlio dei fiori dà un ennesima conferma del marasma ideologico che albergava nel suo cervello", scrive Quintavalle). Giudicando tuttavia questa trovata poco convincente, Pasolini ideò un
secondo finale: pensò di far ballare a tutta la troupe del film (tecnici, macchinisti) e alle vittime (ma non ai quattro carnefici) un
boogie-woogie nella sala delle orge zeppa di bandiere rosse, per simboleggiare l'avvento di una nuova era.
Anche per questa scena conclusiva Pasolini, si affidò all'improvisazione: si fece prestare le bandiere da una sezione vicina del P.C.I. e le appese nella stanza delle orge, ma si accorse ben presto che nessuno (sia nel cast che nella troupe tecnica) sapeva ballare il boogie-woogie tranne la sarta, che avrebbe dovuto dedicarsi all'insegnamento intensivo proprio nel momento di andare in scena. I ragazzi erano tutti scordinati nei movimenti e facevano solo una gran cagnara, sul set.
Pasolini, pensieroso e perplesso, non era più convinto di quel finale e pensò di utilizzare quella scena (che pare sia stata effettivamente girata) in apertura difilm anzichè in chiusura.
Quintavalle ribadisce ancora una volta che Pasolini pensava e creava partendo da quello che diceva di odiare. Faceva riferimento al finale simile della
Montagna Sacra (e ritorna il cinema psichedelico tanto vituperato da Pasolini), opera che Pasolini diceva (o faceva finta) di ignorare completamente affermando di non conoscerla assolutamente.
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Il terzo finale (che anche in questo sembrerebbe sia stato effettivamente girato, almeno stando alla precisa ricostruzione che ne dà Quntavalle) vedeva
i quattro aguzzini lasciare la villa degli orrori dopo il massacro. Allontanandosi in automobile dalla villa degli abomini cominciavano con l'ultimo dei loro dialoghi ideologici. Così facendo pareva che fornissero una implicita difesa a Pasolini, dicendo che se qualcuno avesse voluto raccontare la loro storia atroce, tutti gli avrebbero dato addosso definendo infame e mostruoso il loro "operato" mentre, dopotutto, loro cosa avevano fatto? Avevano seviziato, torturato e ucciso una ventina di ragazzi, qualcosa di assai trascurabile in confronto agli stermini di milioni di persone che avvenivano in tutto il mondo. Ma le gente vuole stare con occhi e orecchie tappate e si sarebbe limitata a insultare chi avesse voluto ricordare, anche su un piano così limitato, gli orrori che nella realtà sono molto più grandi. Durante queste battute appariva, al di là dei finestrini della macchina in moto attraverso la campagna, un cartello con l'indicazione "Marzabotto", a sottolineare lividamente le ciniche risate con cui i quattro signorotti sadiani accompagnavano i loro ragionamenti. Ma anche in quetso caso il messaggio poteva risultare ambiguo: pareva riferirsi alla strage di Marzabotto, in cui era stato ucciso un numero limitato di persone rispetto ai milioni di milioni sterminati in quegli anni (quindi, seguendo il ragionamento di Pasolini, la cosa risultava di scarsa rilevanza): invece di essere un'azione preventiva in "sua" difesa per gli orrori che aveva raccontato, sembrava che, al contrario, giustificasse la strage di Marzabotto. Pasolini trovò comunque anche questo finale insoddisfacente.
Secondo Quintavalle Pasolini aveva raccontato una storia ideologicamente difforme e si trovava nella situazione grama di non saperne più tirare le fila. Punire i fascisti avrebbe voluto dire condannare il proprio modo di vita e si trovava a essere identificato coi fascisti stessi.
Era una confusione per lui inestricabile, senza via d'uscita, dopo le bandiere rosse, il boogie-woogie e le disquisizioni piuttosto ambigue.
Adottò alla fine una soluzione di ripiego, dando un risvolto elagiaco a una scenetta concepita a tinte ciniche che aveva inserito nel prefinale del film (nel Girone del Sangue).
Così Quintavalle la descrive: "
Le torture e le uccisioni che concludono l'orgia avvengono in un cortile. A turno uno dei signori esegue, due lo assistono, e il quarto contempla da una finestra con un binocolo. Durante il mio turno di voyeurismo, due dei giovani marò, con me nella sala, ascoltando alla radio un programma di canzonette e, mentre io mi sdilinquisco, si mettono a ballare insieme, indifferenti a quell'orrore che succede intorno a loro"
Secondo Quintavalle fu un episodio del tutto trascurabile di una scenetta nemmeno girata benissimo che ebbe però l'onore di assurgere a chiusa finale del film (il dialoghetto tra i due giovani militari :"
Hai una fidanzata?", "
Sì, si chiama Margherita" fu sovrapposto da Pasolini successivamente). Fu solo un espediente che non conclude l'azione del film né chiarifica in alcun modo il suo significato, come se Pasolini l'avesse "buttato lì" non sapendo veramente come chiudere tutta quell'orgia di sodomie, coprofagia, umiliazioni, torture e morte.
Fonte: Estratto dal libro "Giornate di Sodoma - Ritratto di Pasolini e del suo ultimo film" di Uberto Paolo Quintavalle, Sugarco Edizioni 1976
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