Wind - Corto (1996)

Ispirato a "Tre donne, una fotografia" di Lucien Hervé scattata ad Audincourt, in Francia, nel 1951. Il cortometraggio in un unico pianosequenza riesce a mostrarci la potenza del punto di vista, da una prospettiva fotografica. Si parte con tre donne che sembrano scrutare qualcosa all'orizzonte per poi tornare su di esse dopo un'inquadratura che durante il suo girotondo mostrerà qualcosa di impensabile e inquietante. Tutto è relativo, e anche qualcosa che all'apparenza è innocuo come uno sguardo può trasformarsi in un gesto dall'immensa portata umana. Potentissimo.

Ispirato da una fotografia dell’umanista Lucien Hervé, il cortometraggio si basa sul concetto di cosa ci possa essere oltre allo sguardo fissato su pellicola. In un solo piano sequenza è l’attesa, la protagonista del girato, e l’evento che si palesa al termine è l’esempio di quanto le parole siano inutili e il sapere la storia che ci sta dietro può essere solo una umana curiosità. Immagini volutamente schematiche che ripercorrono lo stile di Hervé lasciando una libera interpretazione di carattere etico.

Strepitoso piano di sequenza consistente in un'unica carrellata con "struttura narrativa" circolare. Si finisce dove si era iniziato, ma a quel punto l'immagine iniziale assume un significato diverso. Partendo da una vera fotografia (che si vedrà nel finale) il regista costruisce un potentissimo racconto che partendo da un'assoluta normalità, pian piano ci svela l'orrore e l'indicibile. Sette potentissimi minuti che bastano ad emozionare lo spettatore cui viene tirato un vero e proprio pugno da ko nello scioccante finale.

A chi o a che cosa sorride la Gioconda? Cosa si nasconde nei coni d'ombra della Vocazione di san Matteo caravaggesca? C'è davvero qualcosa sotto il Secret Painting di Mel Ramsden? Per una penetrante concezione anti-humiana dell'immagine: non solo ciò che non percepiamo continua ad esistere, ma la sua non-presenza perturbante influisce in maniera determinante sulla ricezione del percepito. Iványi, con la maestria di un fiammingo ucronico, dipinge un grandangolo bucolico che da una misteriosa e vitrea sospensione s'immerge nel quotidiano e sconfina nell'orrore, per tornare all'origine.

Tre donne fissano l’orizzonte nel vento, la mdp gira di 360 gradi e svela il panorama. Geniale l’intuizione di raccontare ciò che sta oltre una celebre fotografia, e potente l’intensa narrazione che si rivela in pochi minuti, in un silenzio che oscilla dalla contemplazione allo smarrimento. Con un terrigno b/n e un piano sequenza devoto a Tarr, che racchiude il senso circolare della storia e della Storia. Nonché raffinata lezione pratica di regia alla Ejzenstein sulla relatività dell’immagine nel “montaggio”. Sorprendente.