Uno dei film più emozionanti che abbia avuto il piacere di vedere. L'oscuro burocrate Watanabe vive, o meglio sopravvive fin quando la consapevolezza di una morte ormai prossima non lo porta ad un drastico cambio di prospettive. Difficile dire se a fare di questo film un capolavoro abbia contribuito maggiormente la sua struttura inusuale (vedi l'inizio) o la delicatezza ed il rispetto con cui viene sviluppato il tema... probabilmente entrambi. In più, l'interpretazione di Takashi Shimura lascia letteralmente senza parole.
Straordinario film di Kurosawa (uno dei migliori della sua intera carriera) che a distanza di più di mezzo secolo dalla sua uscita mantiene intatta tutta la sua bellezza e continua ad emozionare e coinvolgere enormemente. La storia è molto semplice eppure tratta temi altissimi tra cui il rapporto dell’uomo con la morte. Il tono è partecipe e, a tratti, commosso, ma non scade mai nel patetico, raggiungendo anzi punti di estrema crudezza come nella scena iniziale in cui si apprende del tumore che porterà alla morte il protagonista.
Watanabe, modesto funzionario statale dallo sguardo sempre basso (i colleghi lo chiamano "la mummia") scopre di avere un cancro. Kurosawa utilizza toni sobri e mai pietisti nel descrivere la vicenda: la sua attenzione si sposta infatti sulla perfidia e sulla dimensione piccola di familiari e colleghi di lavoro. Lavoro un po' troppo lungo (eccessiva tutta la discussione finale) ma comunque significativo per l'articolazione della storia e per i temi trattati quali la burocrazia opprimente o il rapporto con la morte.
MEMORABILE: La raffigurazione degli uffici pubblici e della fauna che li abita.
Durante un banchetto funebre, i colleghi rievocano la figura del morto, un impiegato che la rivelazione di una malattia incurabile spinge a cercare di dare un senso alla propria vita. Questo si traduce in azioni che, viste con gli occhi di chi lo conosceva come persona grigia ed anonima, appaiono inspiegabili o frutto di follia. Opera di eccezionale fattura sul significato della vita e della morte, autenticamente commovente senza alcun patetismo. Impossibile non innamorarsi del personaggio, difficile non piangere come una fontana. Capolavoro.
Uno dei Kurosawa top di sempre, tenero racconto di formazione tardiva in prossimità della morte. Una vita sprecata trova riscatto ascoltando la ragazzina che aveva visto annegare la richiesta di bonifica tra le pratiche di Watanabe. Questo dopo aver cercato di gettare gli ultimi giorni in inutili tentativi in bettole e con cattive compagnie. Adorabile, leggero e denso col lungo finale che vede campeggiare, tra quadri aziendali ubriachi di sake e insultanti, la faccia sorridentissima di Watanabe nella foto tombale.
Dopo aver scoperto di avere un cancro, l'impiegato statale Watanabe si dedica alla bonifica di una zona malarica accettando una richiesta ignorata dai colleghi. Kurosawa mette in scena il bilancio esistenziale di un uomo che, con l'avvicinarsi della morte, scopre di non aver vissuto. Lo stile accosta momenti di lirismo a situazioni mondane, coniugando un amaro realismo con uno stile altamente poetico. Alla fine, ci si commuove non tanto per la morte del protagonista, quanto per il suo essere dimenticato da tutti, tranne da chi ha aiutato.
MEMORABILE: Il gruppo di donne rimbalzate da un ufficio all'altro; il protagonista sull'altalena.
Indimenticabile melò di Kurosawa, uno dei 10 film di cui non potrei far senza. Sovraccarico, lirico, barocco, ridondante, sentimentale: quando lo si rivede per l'ennesima volta ci si danna a cercar di capire come abbia fatto l'Imperatore a tener le briglia corte ad una materia tanto eccessiva e turgida, quale sia il segreto della misura di fronte ad un pathos così estremo. La disciplina strutturale si coniuga allo sperimentalismo stilistico (il flashforward centrale si incastra con numerosi flashback interni). Watanabe/Shimura ci aspetta tutti al varco!
MEMORABILE: Gli occhi costantemente umidi di Takeshi Shimura; Le lastre diventan poesia crudele; Il night; Il banchetto funebre con gli ubriachi; "La mummia".
Straordinario percorso di indagine, un sondare i rimpianti e il riscatto di un uomo che vuole cercare di capire a tutti i costi i motivi per cui ha vissuto. Opera intensa e delicata, struggente ma lontanissima dal patetismo. Un’immensa e profonda parabola sul senso e il significato della vita umana in rapporto alla morte, dove squarci di lirismo e parentesi realistiche si mescolano ad una struttura narrativa poetica, accompagnata da una fascinosa fotografia in b/n. Un requiem di innata sensibilità, intimo nel delineare un animo così nobile.
Un film che sessant'anni dopo mantiene intatta tutta la sua bellezza e significativa carica poetica: un uomo che inizia a vivere solo da morto, quando la notizia di un cancro incurabile lo fa cambiare e rivalutare le proprie scelte. Malinconico e spensierato; un Kurosawa immenso, che coglie la palla al balzo per criticare anche la burocrazia giapponese concludendo il tutto con un finale amaro e coerente. Fantastico.
Dopo la diagnosi di un terribile male, un grigio impiegato riscatta la propria vuota esistenza. La lenta narrazione allarga il breve e ultimo momento di vita che egli è destinato a finire. Poetica e amara riflessione che scova un guizzo di lucida umanità solo nell'ubriachezza e che allude alla innata stoltezza d'animo umana. Bellissimo film, intramontabile nonostante l'età.
Uno dei punti più alti del cinema di Kurosawa che, ancora una volta, riesce a organizzare con scabri elementi narrativi una grandiosa parabola sulla disillusione e sull'ingiustizia. La disperata ricerca individuale di uno scopo per giustificare un'intera esistenza si inscrive in una visione amarissima di un Giappone cinico. Perfetti (e logicamenti conseguenti) i flashback finali in cui il protagonista rivive post mortem nei ricordi dei colleghi componendo a mosaico la verità su un uomo e suscitando l'esame di coscienza di una società.
Impiegato pubblico scopre di avere un tumore. Kurosawa dirige la ricerca del senso della vita che ognuno può dare, anche raggiungendo un piccolo risultato. La chiave è pessimistica (non solo familiare, ma anche politica), con tocchi di leggerezza sublimi, tra Fellini e De Sica. Avanti per i tempi il mescolare i piani temporali non come semplici rimandi, ma utilizzandoli per spiegare la vicenda da diverse prospettive. L’ultima parte perde fluidità e risulta schematica. Delicato il finale.
MEMORABILE: L’inquadratura alla scrivania; La canzone suonata al piano; Il cappello ritrovato.
Tra i tanti capolavori realizzati da Kurosawa questo è senz'altro uno dei più toccanti. Un capolavoro assoluto che a distanza di settant'anni riesce ancora a commuovere e ad affascinare come ben pochi altri film riescono a fare; un'opera sull'importanza della vita e sul rapporto con la morte. Straordinario Shimura nell'interpretare un uomo ormai in fin di vita che si impegna per realizzare un progetto socialmente utile senza mai ricadere nel patetico e nel banale. Magistrale la regia di Kurosawa (non scontato per l'epoca l'utilizzo di più piani temporali). Film immenso.
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Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (Ciclo: "AK L'imperatore", sabato 25 gennaio 1986) di Vivere: