Il film prende spunto dal romanzo omonimo di Sacher-Masoch, è ambientato in un teatro e gli attori sono solo due. Uno dei migliori film di Polanski degli ultimi decenni, profondo e intenso, che guarda all'interno dell'animo umano e mette alla ribalta le sue contraddizioni e le sue perversioni. Da vedere.
Dopo Carnage, Polanski torna a toccare le vette del cinema più alto con un film sempre da camera, essenziale, con solo due attori (e che attori) e un teatro; quanto basta per catapultare lo spettatore in un malizioso gioco erotico, trascinandolo in un rapporto sadomasochistico, privandolo dell'identità (anche sessuale). Ottima la scelta del regista di dimezzare il numero degli attori della pièce teatrale (si rischiava di stancare lo spettatore come nel precedente lavoro), mentre eccellente risulta la prova attoriale della Seigner. Cult.
MEMORABILE: La Seigner, vera mattatrice della pellicola; La magia pura di cui la pellicola è pregna; La colonna sonora; I titoli di coda.
Un 4 pallini e una meravigliosa passeggiata a decantare. Ecco quel che vi regalerete andando a vedere questa piece di Polanski. La seduzione attraverso il gioco dei ruoli raccontata su tre piani narrativi differenti; un teatro nel teatro nel teatro, in cui il sapiente Roman sposta continuamente la prospettiva (arrivando addirittura a farci ridere!). Bravissima la Seigner, in un crescendo di sensualità inarrestabile, per una rilettura del romanzo originale che regge perfettamente la propria età e lascia lo spettatore del tutto indifferente alla monotonia della location unica o alla presenza di due soli attori in scena.
MEMORABILE: Il Signore onnipotente lo colpì. E lo mise nelle mani di una donna.
Polanski torna dopo Carnage con una pellicola del tutto simile in quanto a stile ma del tutto diversa come estetica. È l'omaggio del regista al bel teatro, un'opera che tocca temi come la sessualità, il masochismo, la perversione erotica e un continuo scambio di ruoli (anche di genere) gestiti in maniera esemplare e con grande stile e fascino. Una pellicola elegante, colta, divertente al punto giusto, che non annoia mai. Cast ottimo, la Seigner migliorata molto, ancora bellissima e pericolosa. Film chiuso su sé stesso ma veramente un ottimo lavoro.
MEMORABILE: Incipit, la tensione erotica che sale in crescendo, gli exploit comici della Seigner, finale.
Ulteriore gioco al massacro per Roman Polanski che informa la struttura claustrofobica del kammerspiel a confessionale spalancando una vertiginosa mise en abyme in cui il testo di Masoch - riadattato, reinterpretato, trasgredito - si fa diario intimo regressivo, e i suoi personaggi in cerca d'autore, demoni del corpo e della mente. Se in Carnage era la società borghese a calare la maschera dai volti famelici e mostruosi, qui è il regista stesso - nell'alter ego di Amalric – a denudarsi e a mettersi masochisticamente alla gogna. Gustoso, raffinatissimo, forse un po' troppo autoreferenziale.
Immersione in un testo denso di contenuti e conseguenti trasfigurazioni. Dopo un inizio didascalico, Polanski inizia a delineare l'ambiente e sale in un crescendo che tocca la massima complessità nel riuscito finale. La Seigner quando fa la smargiassa resta incerta, mentre nel ruolo di donna dominante o Dea esprime la sua forza e fisicità. Amalric ha più espressioni e riesce a comunicare solo con lo sguardo. Giochi di luce che danno contorno e calore all'approccio teatrale.
Centrato il bersaglio pienamente, in quest'opera di Polanski dove si mescolano poco a poco più elementi prima convenzionalmente separati: la finzione e il piano reale, l'elemento femminile e maschile, il sadomasochismo (più mentale che fisico), i ruoli assegnati dalla società. Tutti destrutturati e poi ancora reinventati, in un'atmosfera ambigua come è l'esistenza. Contribuiscono due (solo due) attori straordinari.
Intelligentissimo kammerspiel questo che Polanski porta in scena con tutta l'intensità che già era stata propria del precedente Carnage, ma con una messa a nudo più completa, nella quale non ci si limita a scarnificare la società e i costumi ma anche e soprattutto le relazioni private, personali, il sesso e i rapporti di genere. Uno scambio continuo e un ricambio di idee veramente inespugnabile quello della sceneggiatura (tratto da una piece teatrale). Polanski dirige con intelligenza lo spazio e soprattutto i suoi due attori. La Seigner memorabile.
Polanski continua a viaggiare ad alta velocità e questo film ne è la conferma. Qualcuno potrebbe non amarlo per il suo impianto teatrale, eppure è un piacere lasciarsi andare ad una storia all'apparenza semplice ma invece tanto complessa sia nei temi che nella situazioni (assolutamente polanskiane). Due attori, soli 95 minuti ma ad un'intensità che cresce sempre di più fino al ribaltamento finale. Grande sceneggiatura e dialoghi ficcanti. Ottima prova di Almaric ma la Seigneur è strepitosa sotto ogni punto di vista. Uno spasso assolutamente da non perdere.
Riprendendo l'impostazione del precedente Carnage, Polanski sviscera la Venere in pelliccia di Sacher-Masoch e, con la consueta classe, ci regala un'opera che non ha timore di scandagliare gli anfratti più nascosti della sensualità maschile e femminile attraverso un elegante gioco in bilico tra realtà e finzione, tra letteratura e teatro, tra chi usa e chi è usato. Ottimo il nervoso Amalric, un po' meno una comunque molto sensuale Seigner che lascia tuttavia ancora desiderare dal punto di vista interpretativo. Celebralmente coinvolgente. ***1/2
Appassionante destrutturazione dell'immaginario maschile e delle sue idealizzazioni, travolgente regressione nel ventre dell'eterno femminino (il "risucchio" nell'antro teatrale della prima sequenza), impudica e "masochistica" confessione polanskiana, gioco al massacro tra opposti/complementari... Questo è molto altro è il film di Polanski. "Inestricabile" è la parola che le attrici non sanno pronunciare e inestricabilità è di fatto la diagnosi di questo film cinico e sovrabbondante riguardo l'animo umano.
Due attori, un palcoscenico. All'inizio diverte per lo scambio di battute, dopo stuzzica il vedere realtà e finzione che si mescolano e si modificano l'un l'altra. Ma tutto questo è nulla in confronto al finale allucinato e sulfureo, veramente degno del Polanski dei tempi che furono (a me ha ricordato infatti uno dei primi film del regista che non nominerò per non svelare nulla). Lei è fantastica: fenomenale la sua trasformazione da bambolona rozza a dea della seduzione.
Vertiginosa messa a nudo, prettamente empatica, di anime masochiste di fronte alle tentazioni della carne. Piacere e dolore, padrone e servo, teatro e cinema, realtà e finzione: tutto preziosamente rappresentato in questo meta-kammerspiel dove i ribaltamenti di ruolo trovano grande armoniosità e la seduzione, passando per l’erotismo, è sviscerata in un rapporto uomo-donna che è guerra di sessi, desiderio, morbosità. Non graffia, non scandalizza mai prepotentemente, ma si rimane ammaliati e divertiti dinanzi un caustico percorso di autoanalisi.
Polanski presenta la sua personale interpretazione del romanzo "Venere in pelliccia" di Leopold von Sacher-Masoch, condendola con le caratteristiche tipiche che hanno fatto grande il suo cinema, su tutte quella grottesca. Tra considerazioni filosofico-letterarie si sviluppa questo bel film che riesce a reggere fino alla fine, nonostante l'impresa di portare avanti una pellicola con due soli attori in un teatro sia veramente ardua. Solo un genio come Polanski poteva realizzare un film del genere.
MEMORABILE: Il cambio di ruolo di Thomas, da Severin in Venere.
Ambiziosissimo film di Polanski che passa dai quattro protagonisti dell'ottimo Carnage ai due di questo meno riuscito Venere in pelliccia. L'inizio è di gran classe, con un bel piano sequenza a condurci all'interno del teatro dove si svolgerà l'intera vicenda. Il seguito è una lotta a due tra scambi di ruolo, dialoghi più o meno riusciti e una sottile ironia. Sicuramente originale ma troppo teatrale e prolisso. Ben recitato, senza dubbio.
Sappiamo, o almeno crediamo di sapere, chi è Thomas: commediografo alle prime armi che vuol portare sulle scene un suo adattamento del più celebre romanzo di von Masoch.
Ma chi è Vanda? Attricetta volgare in cerca di lavoro, musa ispiratrice perfettamente adusa dei meccanismi scenici, simulatrice scaltra, dea algida e inafferrabile, baccante lasciva? Col suo continuo mutare, Vanda opera nei confronti di Thomas una seduzione che annulla la distanza fra creatore e creatura, scrittore e personaggio, coinvolgendolo in un gioco erotico/intellettuale che seduce e conquista anche lo spettatore.
Difficile se non difficilissimo comprendere il motivo che abbia spinto Polanski a girare questa micidiale mattonata priva di mordente, con una tensione narrativa quasi inesistente e un finale di rara bruttura (si sconfina quasi nel trash). Bravissima la Seigner, meno il "surrogato" del regista (Amalric), che sfrutta la propria somiglianza per imitare il sommo con smorfiettine da orticaria (soprattutto nella parte conclusiva). Duole il cuore stroncare uno dei più grandi registi di sempre, ma un tale filmaccio è indifendibile. Le troppe aspettative...
Dopo l'eccellente Carnage, Polanski che come il vino migliora con l'età, dirige un altro bellissimo film di impostazione teatrale in tutti i sensi: l'azione si svolge su un palcoscenico dismesso dove i due personaggi (uno dei quali non è quel che sembra) giocano come il gatto e il topo, mescolando testo scritto a linguaggio quotidiano, il secondo quasi un commento al primo. Piacevolmente claustrofobico, il film ha una sceneggiatura ad incastro impeccabile con il regista che dirige con maestria due attori eccellenti.
Dopo Carnage, capolavoro a 4 interpreti, ecco la Venere: palcoscenico, Wanda e Thomas. Giocando con il teatro, acuti dialoghi a interrompere una altresì lenta recitazione e poco altro, Polanski ha il merito di catturarci. Questa Venere, gretta ma non stupida, conduce il gioco fino ad annientare Thomas, come meglio Von Masoch non avrebbe immaginato, eppure a fine film si ha una strana sensazione: consci della qualità, della perfezione dei meccanismi, si resta interdetti e un po' insoddisfatti. Meglio un paio di visoni... pardon visioni!
MEMORABILE: L'incipit; L'interpretazione della Seigner.
Rispetto a Carnage Polanski dimezza i caratteri e sposta la tematica su qualcosa di più sensuale, anche più cerebrale. Ma la scommessa di ripeterne il successo riesce a metà. Se la Seigner offre una bella prova nel rovesciare le parti iniziali e lavorare al corpo il "povero" regista, non altrettanto si può dire di Almaric. E certi scambi di battute risultano pesanti, poco appassionanti. Niente da dire invece sull'atmosfera di fondo, sul ping-pong iniziale tra i due, sul gioco di sguardi e avance dialettiche che li accompagna.
Se con Carnage aveva riesumato e rinnovato con profitto il Kammerspiel, questa volta l’ardito Polanski si spinge troppo oltre e il suo nuovo gioco al massacro cola a picco sotto il gravame della staticità dovuta al rigidissimo rispetto delle unità di tempo e luogo della pièce e di dialoghi – tra arte e sesso - intellettuali, contorti e vuoti. Pleonastico rilevare che su tecnica e mise en scène non si trova nulla da eccepire, anche perché non potrebbe essere altrimenti da un regista consumato come Polanski, forte altresì dei notevoli mezzi tecnici del cinema di oggi. *!/**
MEMORABILE: L’inizio e la fine, con le porte del teatro che si aprono in sequenza come sipari.
Bello per tanti motivi: in primis perché l'identità di Vanda Jourdain resta un mistero non svelato, poi anche perché troviamo un Polanski rinato, che tinge magistralmente con ironia e sarcasmo ciò che era nato come dramma e come tale poteva finire. Molto ardua per me la scelta di dire chi dei due protagonisti abbia più ragione, poiché se lei sostiene il degrado di tale opera teatrale e non ha torto, lui controbatte con ciò che io sostengo da una vita, cioè che oggi domina il trend di metter l'etichetta a tutto, banalizzando così ogni più nobile intento...
MEMORABILE: L'introduzione della Venere nuda, ma ancor più il finale allusivo alle Baccanti.
Nella Venere in pelliccia c'è il cinema di Polanski racchiuso in un kammerspiel. La possessione, il feticismo e la trasformazione sessuale. Ecco che Thomas (Almaric) viene vivisezionato fino all'ultimo centimetro di anima trasformandosi in un Von Masoch che assomiglia terribilmente al Trelkowski dell'Inquilino del terzo piano. Un film dai fitti dialoghi e dalle strette inquadrature in cui gli attori si superano l'un l'altro per bravura. Ma forse è stato tutto un sogno...
A sorprendere (fino a un certo punto, visto che del magistero del regista polacco non sarebbero state necessarie riprove) è la capacità perversamente sadica di Polanski nel rendere nonostante tutto destabilizzante un plot ad altissimo rischio di esser esangue. L'unità di tempo, luogo e azione, così come la fin troppo inflazionata contrapposizione tra masculin-feminin (ulcerata perdipiù dalla evidente autoreferenzialità del testo di Masoch) trovano invece incroci e ribaltamenti non originali ma prepotentemente vitali. Seigner di "repulsionante" bellezza.
Al solito, Polanski è un grande maestro nel plasmare lo spazio e il tempo di una pellicola in modo da avvolgere lo spettatore e non farlo smettere di pensare un attimo. Forte la componente autobiografica (lo stesso protagonista è quasi un clone del regista da giovane), intenta a indagare sulle piccole grandi complicità autore e interprete. Sensuale, acuto, diabolico. Girato con la freschezza di un ragazzino e la testa di un uomo maturo.
L'apertura del film con la carrellata sotto la pioggia in un boulevard tipicamente parigino e il graduale passaggio all'interno del teatro hanno lo stesso, inevitabile procedere del rapporto tra adattatore e attrice sul palcoscenico. Ci troviamo così immersi in un'opera di non-cinema e di non-teatro in cui Polanski gioca con le luci e i due ottimi attori, cui spetta il difficile compito di non farci distinguere la realtà dalla finzione, con l'alternarsi del recitato al dialogo reale che irrompe e interrompe. Splendida metafora del reale.
Polanski trova in questo romanzo erotico, diventato poi pièce teatrale, la possibilità di fare una specie di autobiografia rivelando una parte di sé e ambientandola nella Parigi peccaminosa del quartiere di Pigalle, ai piedi di Montmartre. Chi poteva essere Wanda se non Emmanuelle Seigner? Musa matura ma ancora in grado di sedurre, non solo con il corpo ma anche con la mente il regista che non riesce a sfuggire prima alle suppliche, poi alla malia dell'attrice che il copione lo conosce a memoria. L'arte di Polanski viene da se stesso.
Proseguendo nello stile di Carnage l'anziano Polanski approda definitivamente al teatro filmato, evitandone però le trappole grazie a una regia mobilissima in continuo movimento intorno ai due solitari protagonisti. Anzi, questo può essere considerato l'apice dei suoi incontri-scontri iniziati nel lontano 1966 con Cul-de-sac. L'ambiguità dell'essere umano evidenziata dal continuo rovesciamento dei ruoli tra vittima e carnefice, uomo e donna, autore e interprete è da sempre fra i suoi temi preferiti. Superlativa prova di una Seigner da Oscar.
MEMORABILE: La volgare e cafona apparizione di Vanda; Thomas portato al guinzaglio da Vanda; Il ballo finale della baccante Vanda; Thomas travestito da Vanda.
Polanski si supera nuovamente e porta al cinema non il teatro ma addirittura il metateatro, creando con due soli attori un ipnotico caleidoscopio nel quale il confine fra finzione e realtà si fa sempre più labile fino a fondersi. Amalric, che al regista somiglia pure fisicamente, si scoprirà infine travolto dalla Seigner che rovescerà i ruoli e lo truccherà perfino da donna, rammentandoci inevitabilmente l'inquilino del terzo piano. Incredibile come possa volare un'ora e mezza con una messa in scena e un cast così essenziale.
Dopo i primi dieci minuti di assestamento in cui ci si attende uno scatto in avanti, tutto si avvolge nella spirale del morboso e del verboso, un cinema sul teatro nel teatro con una tematica pruriginosa e demodé, non velatamente misogina. A parte il mestiere del regista che affiora inevitabilmente, la contrazione in due soli personaggi avvolti in una simbiosi distruttiva abbatte inesorabilmente l'interesse e l'attenzione per un gioco dialettico, inautentico e formalistico che nel finale raggiunge l'apoteosi. Un Polanski irriconoscibile.
La prima parte è folgorante, con l'irruzione diella Seigner nel teatro, che praticamente costringe il regista a farle fare il provino. Però alla lunga la situazione diventa esagerata e il film perde un po' in qualità, pur restando un buon prodotto anche grazie alla straordinaria interpretazione dei due soli attori in scena. Da sottolineare come Amalric sia quasi identico a Polanski da giovane. E a proposito del grande regista polacco, bisogna dire che è anche merito suo se questa pièce teatrale, portata su grande schermo, regge fino alla fine (pur, come detto, calando nell'ultima parte).
Polanski, con soli due attori e una location teatrale, realizza una buona trasposizione di un'opera a tratti complessa che tratta temi che vanno dall'erotismo più spinto fino all'attualità femminista. A dominare la scena ci sono una seducente e brava Seigner e un altrettanto ottimo Amalric, i quali formano una coppia affiatata che ben sintetizza le intenzioni del regista. Ci si districa tra l'illusione del teatro e la realtà della vita quotidiana, e Polanski lo fa molto bene puntando su momenti anche di tensione che spiazzano e sanno coinvolgere emotivamente. Un film da vedere.
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Ah Galbo, mi hai anticipato! Quando ti ho letto
anche io non credevo ai miei occhi e pensavo
che la giusta penitenza sarebbe stato vederlo
sui ceci. :))
P.S.
Scherzi a parte: abbiamo tutti le nostre lacune
Anche il Mastro burattinaio come te
Si ma Galbo, corri subito ai ripari perchè la lacuna è gravissima...
DiscussioneFauno • 24/11/14 12:38 Contratto a progetto - 2743 interventi
Cari colleghi, lacuna o meno di Galbo, allora le ginocchia gliele faccio ungere io dalle mie ancelle con dei linimenti se poi ha male, perchè a me questo filmaccio è piaciuto infinitamente di più di Rosamaria, e anzi, vedo il Romano polacco come lo chiamo io semplicemente rinato con la doppietta Carnage-Venus in furs. Prima di allora mi andava bene, ma a scaglioni, ovvero Repulsion, Chinatown e L'inquilino super e ok, ma Cul de sac, Il coltello nell'acqua e Luna di fiele super ma in negativo, mentre Rosemary, come già dissi, si salva dall'ecatombe per il colpo di reni finale della Farrow...Quindi lasciamo stare le punizioni dei conventi di suore:-)
In tutti i casi Polanski vale le pena di vederlo tutto. perchè quando ci prende è un grande! FAUNO