Prendere
Memento e accostarlo con derive alla
Allucinazione perversa (la sequenza incubo/ospedaliera), con una particolare predilezione per gli insetti (formiche ovunque, che diventano pure un plotone incubotico che nemmeno le blatte del
Signore del male) e per l'aracnofobia (il ragno infilato in bocca in stile
Benedizione mortale, e che poi esce dalla bocca stessa della vittima), in un concentrato paranoico/ossessivo parapolanskiano, dove il suo regista non rinuncia a riverberi del suo
My little eye (la telecamera a circuito chiuso dello scantinato/morgue).
Parecchio confuso (si rischia di perdersi nella vicenda nevrotica e , a tratti, oniricheggiante, che amplifica la confusione narrativa), non poco modaiolo (le solite velocizzazioni alla
Koyaanisquatsi,le apparizioni fantasmatiche a scatti come nei j horror, una fotografia un pò videoclipposa tipica dei primi anni 2000, le schegge allucinatorie prese di peso da
Allucinazione perversa), ma pervaso da un fascino oscuro, da un black out mentale che avvolge il suo protagonista (ottimo Firth, pieno di sofferenza e inghiottito dal gorgo della perdita del contatto con la realtà), costantemente in bilico tra triste realtà e stati di allucinazione progressiva.
Spiazzante, poi, il finale (occhio allo show della cantante in tv) che ribalta completamente l'ottica spettatoriale, con il little eye di Firth che sembra impazzire davanti alle immagini che passano sullo schermo, su quello che è reale e quello che non lo è.
A volte si perde nei suoi confini con l'horror, il filo della vicenda si annebbia e confonde le carte in tavola (morti che non sono morti, strane vicine di pianerottolo che forse manco esistono, personaggi che sembra escano dalla televisione per accusare, uno psichiatra che non si vede mai, il libro di Charlotte, i nomi dei morti sulle pareti dell'ex obitorio, la quantità di scarpe ammuffite dei defunti, le ossessioni morbose per la cantante uccisa, l'album dei ricordi dato alle fiamme. i flashback dell'incidente automobilistico nella notte di tregenda su una strada deserta, il dipinto sulla parete, la schizofrenia di Firth che va di pari passo con il brulicare delle formiche), non riuscendo del tutto a ricomporre i pezzi del puzzle, ma che non difetta di una certa originalità
Certo,
My little eye era un piccolo gioiellino di angoscia e cattiveria, quì siamo gradini sotto e non tutto carbura a dovere (il derivativo è dietro l'angolo), ma il gioco di vetri infranti e di menti al colasso riesce a mantenere desta l'attenzione, in un thiller neurologico passato quasi del tutto inosservato ma che merita una seconda possibilità in appello.
Mena Suvari, poi, è talmente bella che sembra non esista nemmeno.
Un incubo metropolitano dai nervi a pezzi fatto di formiche, ragni, zollette di zucchero, inquietanti fantasmi del passato e proiezioni mentali che portano alla follia.
Da vedere a mente lucida.