The penitent - Film (2023)

The penitent
Locandina The penitent - Film (2023)
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MMJ Davinotti jr
Anno: 2023
Genere: drammatico (colore)

Cast completo di The penitent

Note: Tratto dall'omonima pièce di David Mamet, cui si deve la sceneggiatura del film. Presentato il 4 settembre 2023 alla Mostra di Venezia.

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La nostra recensione di The penitent

Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Nel portare su grande schermo la pièce di David Mamet vista a teatro nel 2017, Luca Barbareschi celebra l'autore Premio Pulitzer riconoscendone di fatto l'acume e le indubbie capacità di scrittura. Che non mancano di evidenziarsi anche qui, naturalmente, ma prigioniere di un involucro che le avvolge in un oceano di parole in apparenza troppo spesso ripetitive, reiterando un modesto numero di concetti espanso in dialoghi talora interminabili che accorciare non sarebbe stato certo un delitto.

Ambientato in una New York plumbea molto ben fotografata ma perlopiù girato in interni, il film racconta i tormenti del dottor Carlos Hirsch (Barbareschi), psichiatra ebreo che...Leggi tutto aveva in cura un giovane (Ciavoni) il quale, con una pistola, ha compiuto una strage nel college dove studiava. Fino a che punto arriva la responsabilità del medico, in questi casi? E' lecito passare agli investigatori gli appunti delle sedute in spregio al vincolo di segretezza imposto dal mestiere? E' giusto rifiutarsi di testimoniare in difesa del proprio paziente? O accettare senza agire legalmente contro le false, spregevoli accuse di un giornale che ti accusa di aver definito aberrante il comportamento omosessuale? E' soprattutto quest'ultima la chiave interpretativa che, almeno nella prima parte, funge da fulcro intorno al quale ruota una lunga serie di interrogativi che prevedono anche inevitabili implicazioni filosofiche e religiose.

Confrontandosi lungamente con la moglie (McCormack) e il proprio avvocato (James), Carlos mette in luce un carattere duro ma non irragionevole, forte di convinzioni derivate da una fede in Dio che diventa progressivamente un altro dei cardini della storia, impostata sulle relazioni fra soli tre personaggi (più un quarto, il Pubblico Ministero interpretato da Adrian Leister, che compare sì in un'unica scena, ma di lunghezza estenuante).

La regia di Barbareschi ha il preciso compito di dare in qualche modo dinamicità a un'opera palesemente costruita sulla sceneggiatura di Mamet, e in questo può dirsi riuscita. Con una buona alternanza di primi piani, giochi di campo e controcampo, riprese fluide in interni ottimamente arredati, Barbareschi mette in luce buona tecnica. Il problema sta piuttosto nella sceneggiatura di Mamet, oltremodo prolissa e agganciata a frasi che raramente riescono a rivelarsi efficaci quanto vorrebbero. E' in particolare l'incontro col Pubblico Ministero, in cui più subentrano le scomode domande connesse alla fede di Carlos, a far emergere - nonostante la maturità e lo spessore umano evidenziati - la pedanteria di frasi e concetti che sembrano girare perennemente intorno a se stessi, in cui le ambizioni di uno script ponderato, a tratti profondo, si scontrano con l'incapacità di renderle accessibili attraverso una sintesi che avrebbe permesso di renderle incisive come meritavano.

Più originali e interessanti gli scambi sui dubbi relativi alla linea di attacco da tenere contro il giornale che ha infamato Carlos distruggendone la reputazione, con l'avvocato impegnato a far capire quanto sia sciocco pensare di poter vincere contro chi ha chiaramente distorto i tuoi pensieri ma ha dalla sua studi di avvocati pressoché imbattibili. Barbareschi si conferma ottimo attore in grado dare la necessaria intensità al proprio personaggio e non si può dire che le sue “spalle” non siano all’altezza; tuttavia i lunghi confronti con la McCormack ad esempio, che analizzano la medesima situazione filtrata però dall'ottica sentimentale e dal rapporto coniugale, non risultano - per quanto accesi - granché coinvolgenti. Non trascurabile l'apporto delle musiche, a conferma di una confezione di qualità e del desiderio di proporre una rilettura compiuta e riflessiva dell’opera di Mamet che ne colga la saggezza conferendo ai personaggi una statura intellettuale superiore. In alcuni passaggi un film notevole, in troppi altri macchinoso e traccheggiante.

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Tutti i commenti e le recensioni di The penitent

TITOLO INSERITO IL GIORNO 1/06/24 DAL DAVINOTTI
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Markus 1/06/24 17:38 - 3751 commenti

I gusti di Markus

Quinta regia di Luca Barbareschi che, nonostante l'età non più giovane, non rinuncia al sogno di realizzare il film perfetto, quello che finalmente lo sdogani al pubblico dell'intellighenzia. C'era forse riuscito con la quarta opera ma come al solito pochi se ne sono accorti; ci ritenta con questo film decisamente meno riuscito, forte - sulla carta - della sceneggiatura di David Mamet che si traduce... in due ore talmente piene di parole da uscire dalla sala ubriacati. Eppure qualcosa di buono c'è, a partire dall'interpretazione di Barbareschi e dalla cura formale della pellicola.

Blutarsky 21/12/24 00:57 - 362 commenti

I gusti di Blutarsky

Da una pièce di Mamet, Barbareschi imbastisce un adattamento filmico che punta alla categoria "d'autore" senza centrare il bersaglio. Il film sembra costruito come una nebulosa serie di bozzetti in cui si susseguono conversazioni a due con una tendenza stilistica alla narrazione statica, il tutto sminuito da una regia confusa che fatica a creare tensione con sterili movimenti di macchina. Il messaggio di fondo è rozzamente argomentato e a tratti farraginoso, il finale a sorpresa non aiuta, anzi invalida e complica quanto prima illustrato.

Luluke 13/01/25 05:47 - 607 commenti

I gusti di Luluke

Dato atto che Barbareschi si è limitato a tradurre in film un soggetto teatrale di Mamet, in modo da renderlo più conoscibile dal grande pubblico, è inutile obiettare sul carattere statico della narrazione e una regia solo di servizio al testo, tesa a massimizzare l'impatto dei dialoghi (il più convincente dei quali, tra lo psichiatra e l'avvocato dell'accusa, di grande spessore). Il vero difetto sta piuttosto nella scelta dell'attore italiano di assumere in prima persona il ruolo del protagonista senza riuscire a valorizzarlo pienamente. 

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