Il talento di De Feo è fuori discussione (grande cura sia per la compostezza e eleganza visiva, sia per la fotografia suspiriosa, sia per gli omaggi colti e raffinati-il punto di vista di ripresa visto dalla bara con l'oblò che rende tributo al
Vampyr dreyeriano-) e abilissimo a sviare sull'elemento prettamente horror, che si insinua tra
The Boy e le regole di
The lodgers, passando dal folk horror (il rito pagano-o satanico?- dell'uccisione della vecchia) al cinema settario di derivazione polanskiana, agli acri sapori del ghost movie (
The Others), fino a lambire il "Giro di vite" e presunti patti diabolici alla
Annabelle 2.
Citare altri presunti film (soprattutto uno spagnolo dei gloriosi anni 70) sarebbe peccato mortale (e dannato spoiler), nello sterzare bruscamente fino ad un twist finale che lascia di ghiaccio, fa rimanere completamente basiti, da tanto arriva come una fucilata e sopra ogni (im)possibile e (ir)ragionevole previsione (almeno per il sottoscritto).
Se il bravissimo ragazzino paraplegico, all'inizio, mentre gioca con il robottino, da l'impressione di un Peter Bark 2.0, il mistero di quello che sta succedendo nell'enorme e tetra magione con immenso parco annesso, avvolge subito in un aurea malsana e necrofora, in un goticheggiare sgradevole e oscuro (la madre virago, il medico sadico, la servitù assoggettata, le lobotomie su chi parla troppo, il rossetto lynchiano, l'autolesionismo a colpi di lametta di Elena, nuda, nella vasca da bagno, a tu per tu con il cinghiale nella gabbia, l'inquietante soffitta con i manichini, il lascivo guardiano criptopedofilo, la surreale e allucinata festa di compleanno, il rispettare ferreamente le regole imposte-pena assaggio di strangolamento-la musica classica, il pianoforte, la dimora vista come un Eden assoluto da soffocante campana di vetro) che infittisce il mistero e non si sa bene dove De Feo voglia andare a parare, mantenendo alta la tensione e l'atmosfera plumbea e disturbante.
Quello che succede alla fine è una doccia gelata imprevista (e imprevedibile), ma quello che avviene dentro quella decadente e spettrale villa accanto al cimitero mette davvero i brividi (su tutti una tentata lobotomia sulle note della "Gazza ladra", con il sadismo del dottor Buster Keaton che si improvvisa grottesco e delirante direttore d'orchestra) con una mater terribilis che ondeggia tra la glacialità e la crudeltà, con governanti che si impiccano o che lasciano "villa inferno" di propria spontanea volontà e che solo un gesto semplice, come rispondere ad un telefono che squilla, comporta punizioni eccessive e insensate (almeno così sembra di primo acchito).
Una tenera amicizia tra ragazzini che sboccia in sentimento (le sigarette, l'i-pod, la gita al laghetto, l'eccitazione del ragazzino, il fingere di non piacersi reciprocamente, il primo bacio), la danza di Denise sulle note suonate al pianoforte da Samuel (verrà ripresa con lei parzialmente lobotomizzata, macabra pantomima alla
Moglie di Frankenstein-non per nulla destinata in moglie servizievole e muta al piccolo Samuel, sorta di
Fabbrica delle mogli in micro), la distrazione continua di Samuel che vede Denise alla finestra mentre la madre le spiega i doveri per mantere la gigantesca tenuta, sono tutti tasselli che aumentano il coinvolgimento emotivo, in una coltre di angoscia e presunta follia istitutrice.
Bravissimi tutti i protagonisti (menzione speciale per una gelida Cavallin e per Lombardi medico pazzo in odor di Mengele, che si definisce lui stesso un mostro, con la fissa "alexanderdelargeiana" per Beethoven) e uso delle location suggestivo e fiabesco alla fratelli Grimm, nonchè un'alienazione ambientale che sembra perduta nel tempo e nello spazio (se non fosse per le automobili o l'I-Phone potrebbero benissimo essere i primi dell'800 o un'epoca ancor più fosca e indecifrabile).
Plauso alla Colorado Film di Gabriele Salvatores per aver creduto nel progetto, dando alla luce il talento di un autore tra i più personali e stilisticamente interessanti degli ultimi anni, in questo suo lusinghiero biglietto da visita.
E come diceva la Dorothy del
Mago di Oz, nessun posto è bello come casa mia (dopo aver assistito a quel finale raggelante, si può capire il perchè).