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TITOLO INSERITO IL GIORNO 17/07/15 DAL BENEMERITO ULTIMO
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Ultimo 17/07/15 17:42 - 1656 commenti

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Giorgio Tirabassi torna a vestire i panni del poliziotto Roberto Ardenzi in questa serie che risulta di fatto uno "spin-off" di Distretto di polizia. Siamo sempre a Roma e le vicende sono ambientate nel reparto della mobile sita nella questura. I casi che accompagnano gli episodi sono semplici, ma la serie si segnala per una buona trama di fondo, che vede Tirabassi contrapposto al perfido collega Liotti. Non male, ma il "Distretto" era ben altra cosa...

Il Dandi 2/05/20 03:34 - 1917 commenti

I gusti di Il Dandi

Il Distretto soffriva limiti da fiction borisiana (buonismo di fondo, camei di sportivi nel ruolo di sé stessi, sottotrame da "linea comica") e sta a questo spin-off come "Gli occhi del cuore" sta a "Medical dimension": Tirabassi garantisce la transizione riprendendo il suo personaggio più amato dal pubblico e gli si costruisce intorno un The shield all'amatriciana, con più azione, più cinismo, un collega corrotto (assassino e drogato) e altri imperfetti (alcolizzati o poco simpatici). Non male, ma resta un non so che di vorrei ma non posso.

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  • Discussione Il Dandi • 4/05/20 23:11
    Segretario - 1488 interventi
    MOBILE DIMENSION: L’ISPETTORE ARDENZI, BORIS E “UNA FICTION DIVERSA”.


    Roberto Ardenzi nasce nella prima puntata di Distretto di polizia come personaggio secondario, ma fin da subito risultò tanto gradito al pubblico da diventare via via sempre più protagonista, con una vita privata investita da numerosi lutti, fino a ricoprire il ruolo di commissario capo nella VI ed ultima stagione a vederlo presente. Per questo Ardenzi in qualche modo è il Distretto, più dei tanti commissari che lo hanno preceduto, affiancato e succeduto.

    Ardenzi con le sue giacche di lana a tre bottoni, con le sue cravatte a righe mai stravaganti né davvero eleganti, allacciate sulle camice azzurrine col colletto botton-down da bravo ragazzo, con le sue scarpe marroni sformate e le suole consumate dagli infiniti pedinamenti. Ardenzi dalla camminata rapida a piedi larghi, con le lentiggini sul volto e sulle mani pallide, che sotto ai capelli folti e ondulati (e ormai qualcuno bianco) ha appena un’ombra di baffi imberbi da eterno adolescente cresciuto.

    Ardenzi che in casa sua teneva una chitarra (strumento di cui Tirabassi è ottimo suonatore) sempre appoggiata lì, senza mai avere il tempo di pizzicarla, Ardenzi con i suoi orologi all’antica dal cinturino in pelle che lasciano immaginare l’eredità dei sacrifici della famiglia onesta da cui proviene.

    Ardenzi umile ma mai servile, rifessivo ma attento, prudente ma coraggioso, appassionato ma non collerico, onesto ma non moralista, disincantato ma non cinico, con un modo tutto suo, da romano di altri tempi, di avere sempre la risposta pronta, magari irridente ma senza mai diventare strafottente:
    un carattere che prima sarebbe stato perfetto per Nino Manfredi, per intenderci, oppure per Gigi Proietti, tanto che Giorgio Tirabassi (allievo proprio di quest’ultimo) deve soprattutto al ruolo di Ardenzi la sua meritata popolarità e la sua legittimazione come erede della romanità di costoro.

    Il dottor Ardenzi (che l’agognata laurea la conseguì sotto i nostri occhi proprio nelle prime puntate, quando era solo ispettore capo del X Tuscolano) che rimane vedovo della sua amata Angela (Carlotta Natoli) e orfano dell’amico Mauro (Ricky Memphis), Ardenzi ragazzo padre, Ardenzi promosso commissario, Ardenzi che si rifà una vita con una nuova compagna e che poi scompare accettando un incarico alla DIA.

    Dopo 15 Roberto Ardenzi torna sugli schermi e lo ritroviamo protagonista assoluto di un format tutto nuovo: un po’ invecchiato, più stanco, più acciaccato, ma anche più esperto, più sospettoso e più esigente, il nuovo Ardenzi resta tuttavia sempre riconoscibile dalla sua proverbiale umanità, anche ora che è diventato vice-questore aggiunto alla Squadra Mobile di Roma. I riferimenti alla sua vita precedente sono limitati a una visita sulla tomba di Angela nella prima puntata, in compagnia della figlia Mauretta (ormai adolescente problematica) che scopre la verità sulla morte della madre. Non si fa invece alcuna menzione della sua seconda moglie con la quale si era riaccasato, lasciando ad intendere che negli anni la sua vita privata sia finita sacrificata sull’altare del suo infame mestiere.

    Per il resto l’immaginario viene completamente resettato: se gli agenti del X Tuscolano sembravano un gruppo di amici molto uniti, dove tutti sapevano tutto di tutti ed erano sempre pronti ad incoraggiarsi e sostenersi su qualsiasi necessità (un problema sentimentale, un hobby artistico) alla Mobile è piuttosto un tutto contro tutti: i rapporti fra i personaggi vengono disegnati all’insegna di segreti, antipatie, incomprensioni, tensioni, malafede; dinamiche fra colleghi senz’altro più verosimili, soprattutto in un contesto lavorativo brutale e pericoloso come quello poliziesco, che il nuovo format si propone di rappresentare con maggiore realismo procedurale (ad esempio avvalendosi di consulenze tecniche sulle operazioni di incursione e sui briefing precedenti).

    Insomma, per dirla con Boris, “Squadra mobile” sta a “Distretto di polizia” come “Medical Dimension” sta a “Gli occhi del cuore”: tecnicamente uno spin-off, ma più crudo e moderno. Quindi via il buonismo di fondo, via i camei di vecchi sportivi in pensione nel ruolo di sé stessi, via i buffi personaggi di contorno (Marzocca, Ferreri, Giusti) che bilanciavano il dramma con la loro sottile “linea comica”: al loro posto arrivano protagonisti antipatici, sempre incazzati, che perdono sovente la pazienza, spietati quanto e più dei criminali con cui sono alle prese.
    Sembra di immaginarli i delegati di rete ripetere le stesse parole che in Boris convincevano il regista René Ferretti: “Voglio interrogazioni parlamentari, voglio i sindacati sul piede di guerra, le associazioni di categoria incazzate, voglio il paginone di Repubblica, voglio che facciamo il bottto!”
    Ma il povero René Ferretti si sarebbe accorto presto, man mano che il copione proseguiva, che in realtà “Medical dimension” non era il progetto rivoluzionario che pretendeva di essere, ma un mero plagio non dichiarato di una serie americana: del resto come potevano gli stessi sceneggiatori de “Gli occhi del cuore” compiere da soli un simile salto, senza copiare da nessuno?

    A fare da contraltare ad Ardenzi troviamo infatti Claudio Sabatini (Daniele Liotti), veterano della narcotici che fin da subito si presenta come un moderno Serpico più bello e cattivo, ma che ben presto si rivela molto più che un semplice sbirro bastardo di strada, bensì un vero e proprio criminale: prende mazzette, è in combutta con gli spacciatori, quando sequestra un carico di cocaina ne trattiene un panetto per sé, uccide a sangue freddo chi può essergli di intralcio, stacca le telecamere della sala interrogatori per condurre trattative private, fa addirittura uccidere un testimone pericoloso mentre è in custodia negli uffici della Questura (mettendogli in mano un’arma e poi occultandola con spudorata destrezza) e perfino quando passa da un letto all’altro unisce diabolicamente l’utile al dilettevole con calcolato interesse: ebbene sì, nel caso tutto questo ricordi qualcosa, Liotti non fa che ripetere passo passo le gesta rocambolesche di Vic Mackey in The Shield.

    C’è poco o nulla da dire sui personaggi di contorno, che restano sempre abbozzati in psicologie mono-dimensionali e nessuno dei quali risulta mai veramente incisivo, a partire dal tormentato ispettore alcolizzato Sandro interpretato da Antonio Catania, che singolarmente in precedenza era stato proprio il delegato di rete in Boris (e che quindi avrebbe dovuto rendersi conto meglio di chiunque dell’operazione alla quale stava partecipando).
    Fu proprio Catania, nei panni di Lopez, a spiegare a René Ferretti “il senso dell’operazione Medical dimension: dimostrare a tutto un comparto televisivo (reti, produttori, critici, inserzionisti pubblicitari) che in Italia oggi una fiction diversa non sono non è possibile, ma non è nemmeno augurabile!”
    Noi non possiamo dare ragione alle sue parole, ma “Squadra mobile” sembra farlo, premiata da un successo di ascolti rispettabile ma inferiore ai fasti del vecchio Distretto e rimanendo incagliata in una sorta di “vorrei ma non posso”, dove pesa lo scarto fra le altisonanti dichiarazioni d’intenti e i risultati effettivamente realizzati.

    Ma visto che si cambia tutto - domandava René Ferretti in Boris - non si potrebbe cambiare anche Stanis (l’attore protagonista de Gli occhi del cuore, ndr.)? No, risponde la rete, perché “Stanis rende l’operazione più sicura: con lui ci portiamo dietro nelle intenzioni tutto il pubblico che lo adora, fatto di zie, casalinghe, macellai…”
    Ebbene, se le regole d’ingaggio degli spin-off devono essere queste, si tratta di un ruolo che l’ispettore Ardenzi davvero non meritava di ricoprire: primo perché Giorgio Tirabassi (a differenza di Stanis La Rochelle) resta un signor attore; secondo perché al suo ispettore Ardenzi si vuol bene: era lui la vera arma segreta di Distretto di polizia e resta l’unico motivo di interesse anche in Squadra mobile, ma rivederlo in un contesto così snaturato, così simile a quello primitivo eppure allo stesso tempo così differente, produce un effetto straniante. È come se in Suburra o Gomorra vedessimo tornare in forze un Maresciallo Rocca invecchiato e nel frattempo divenuto generale dell’Arma: non perderemmo l’occasione di incontrarlo di nuovo, ma in fondo non preferiremmo riguardare, pur con tutte le sue ingenuità, le repliche dell’originale?



    Ultima modifica: 4/05/20 23:13 da Il Dandi
  • Discussione Buiomega71 • 5/05/20 19:33
    Consigliere - 26006 interventi
    Bel pezzo, grande Dandi!
  • Discussione Il Dandi • 6/05/20 02:51
    Segretario - 1488 interventi
    Buiomega71 ebbe a dire:
    Bel pezzo, grande Dandi!
    Grazie mille!