Dahan filma la provincia francese come fosse quella americana, con un occhio a Jack Kerouac e l'altro rivolto a toni quasi fiabeschi, in un viaggio on the road femmineo che si dipana tra cieli stellati, immensi campi, strade, motel, occasionali autostop e incomprensioni tra madre e figlia.
Dahan muove la macchina da presa come un pittore armeggia con il pennello, dispensando meraviglie, spalleggiato da Alex Lamarque che dona suggestivi e incantevoli cromatismi in una fotografia quasi astratta e orientaleggiante da diventare quasi stucchevole.
Inizia come il più classico "mignotta movie", per poi mutare in un pellegrinaggio per raggiungere uno sperduto paesino che si trova a Grenoble, dove la Huppert (meravigliosamente intensa e struggente) armata di una valigia e di un paio di deliziosi sandaletti neri coi tacchi che l'accompagneranno per quasi tutto l'annoso tragitto (già di culto la sequenza in cui si butta sul letto del motel, fa cadere i sandaletti e c'ha le piante dei piedini sporchi) è alla ricerca del suo ex marito. Di mezzo la figlia (bravissima Maud Forget) che soffre di attacchi epilettici con fuoriuscita di sangue dal naso e un misterioso uomo in libertà vigilata che aiuterà le due nell'impresa.
E tra ricerche, fughe, papponi violenti, viaggi interminabili, litigi, famiglie comprensive, tentati furti d'auto, poesia floreale, dialoghi taglienti, immersioni nel "fantastico quotidiano", paesini herzoghiani avvolti nella nebbia, peluche di orsacchiotti e vagabondaggio si arriva alla "città di Smeraldo", citando
Il mago di Oz, arrivando in una casupola diroccata in mezzo al nulla con l' amara sorpresa che attende Silvia, sempre sull'orlo di una crisi di nervi.
Cinema livido e vivido quello di Dahan (non sembra nemmeno l'autore di quell'abominio che è
I fiumi di porpora 2) che si avvicina pericolosamente a quello di Jean Jacques Beineix (per stile e estetismi), forse un pò autocompiaciuto e , qualche volta, "inutilmente" virtuosistico, ma pervaso da una forza narrativa notevole, da tableaux vivant che sono una gioia per gli occhi, dalle location incantevoli che si perdono tra tralicci e campi di grano, locali di streaptese, stanze di motel, stazioni di servizio e fattorie come nella migliore tradizione on the road americana, da una Huppert visceralmente nevrotica e perduta e da slanci di sincera commozione, in un invito al viaggio che sa toccare sensazioni e emozioni.
Passato in sordina all'epoca merita un recupero, per lo strabordante talento narrativo di Dahan (che gioca a fare Terrence Malick, come scrive il sior Mereghetti) e per l'innesto tra metafora muliebre "favolistica", perdizioni on the road e amarezze della vita.
Note a margine: la Huppert arriva alla casetta degli ex suoceri e vede la madre dell'ex marito che la guarda con disprezzo, nulla di strano, se non fosse che l'ex suocera assomiglia a Roman Polanski!