Sembrava di tornare al quel furente cinema spagnolo degli anni '70, di autori come Serrador, Martin e Eloy de la Iglesia, speziato con il Saura più arcigno e cupo e con i sapori acri e mortiferi del Bolognini più grottesco, vieppiù và a lambire i territori siegeliani delle notti brave dei soldati nordisti tra le ancelle della crudeltà
Marcescente kammerspiel dell'orrore, dove gli appartamenti si tramutano in mattatoi (donne fatte a pezzi e usate come macabri supellettili per sartoria, gambe che vanno in cancrena-se non cucite insieme alle lenzuola-, Carlos che striscia sul pavimento imbrattandosi del sangue della moglie, cene solitarie paterne a base di veleno per topi, furenti coltellate, mazzate sulla capoccia con ferri da stiro e crocefissi e un delirante finale che sprofonda nella violenza più isterica, tra sangue, sputi e dolorosissime-quanto inaspettate-confessioni.
La Gòmez è la quintessenza della follia femminea repressa e abusata e riesce a mettere davvero a disagio (quando sottomette la sorella minore a punizioni corporali, sembra di vedere i deliri invasati della madre di Carrie White) in un misto di compassione, rabbia, repressione, ripugnanza e scatti di feroce violenza omicida.
Un appartamento freddo, di desolante grigiore e squallido adornato maniacalmente da altarini cristologici e mariani, un tanfo di solitudine e necrofilia, isolamento e alienazione mentale (impressionanti i tentativi della Gòmez di superare la sua agorafobia oltre l'uscio dell'appartamento), segreti inconfessabili (e lancinanti), avvilenti abusi incestuosi e un fantasma paterno cinico e implacabile, onnipresente e accusatorio, malacoscienza che devasta il già precario equilibrio mentale della donna.
ATTENZIONE SPOILER
Una confessione straziante come quella finale di uno dei capolavori polanskiani, il ribaltamento di prospettiva dei padri barilliani che vanno in guerra.
FINE SPOILER
Cinema viscerale (in tutti i sensi) che colpisce come un maglio sui denti (più che
Misery sembra la versione allucinata, schizofrenica e grandguignolesca della
Gabbia griffiana), donando momenti di autentica commozione (la canzone sui titoli di coda), tra nevrotici scoppi splatter, fanatismi religiosi, menti devastate e confessioni strazianti.
Grande parterre attoriale (Gòmez immensa) e duo registico da tenere assolutamente d'occhio.
Notevoli le pantomime di Nina per andare nella stanza dell' "ospite" all'oscuro dalla sorella, e la goffa dichiarazione d'amore di Montse a Carlos (che ha altro a cui pensare, tipo le bugie della donna, come quella del dottore che non è mai venuto a visitarlo, con il pericolo incombente di perdere la gamba che stà andando in cancrena tra atroci dolori)
Ancor più inquietante per la malsana luce di sordido realismo (anche se ambientato tutto in un appartamento, si respira il pesante clima della spagna franchista degli anni '50), che non và mai sopra le righe.
Chiusa finale emblematica, che lascia un senso di straniamento ancor più marcato.
Piccolo gioiellino di amore malato , emarginazione rancida, psicosi muliebre, religiosità maniacale e sangue rappreso.
Non riesci a fare innamorare di te nemmeno uno storpio